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Giù le maschere, il bene è in ognuno di noi

Angelica Calò Livnè ha aperto il ciclo degli incontri culturali del Collegio Alma Mater di Bologna.
Angelica Calò Livnè

"Beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli di Dio"(Mt.5,9). A dirlo fu Gesù, ma a condividerlo non sono solo i cristiani. Lo ha dimostrato la sera del 30 gennaio agli studenti del Collegio Alma Mater di Bologna Angelica Calò Livnè, regista teatrale israeliana, le cui origini sono ben testimoniate da una spiccata parlata romana, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico del Collegio e del ciclo di incontri culturali. Discendente da un’antica famiglia ebraica, a vent’anni Angelica si trasferisce in un kibbutz della Galilea, al confine col Libano. La forma più pura di condivisione, quella del kibbutz, in cui il dentista guadagna quanto la cameriera, poiché tutto viene messo in comune. Da lì Angelica è partita, a cominciare dal marito e dai figli, con un’opera di educazione. Non programmata, probabilmente, né progettata. Scaturita, semplicemente, dalla sua passione per il teatro. "Non tanto il teatro come recitazione, espressione in quanto tale", precisa. Il teatro come possibilità di comunicare l’umano, di prendere contatto con ciò che più intimamente ci costituisce. Alla fine, un desiderio di bene e la certezza di un Dio che entra in rapporto con noi.

"Proposi all’assessorato alla pubblica istruzione della Galilea di mettere in piedi una compagnia con ragazzi ebrei, drusi, cristiani, musulmani... il funzionario mostrò una certa perplessità!", racconta Angelica. Tuttavia, ci sono proprio tutte le espressioni religiose di quella terra, fra i ragazzi del Teatro Comunitario della Galilea che Angelica porta in tourné per il mondo, con il suo spettacolo dal titolo  Beresheet, che significa "in principio" (ha dato vita anche alla Fondazione Beresheet Lashalom, che significa "in principio fu la pace"). Coperti da una maschera, i ragazzi recitano la parte di noi uomini, coperti da un volto che non ci appartiene a combattere contro un volto che non conosciamo. Una maschera, appunto. Perché la cultura della morte non fa parte dell’uomo, delle persone che sotto quelle maschere, sotto quelle divise si nascondono. Solo così è possibile che Angelica, ebrea, faccia conoscere la Chiesa italiana a ragazzi cristiani, mai usciti da Israele, a musulmani e ad ebrei. Solo questo rende possibile l’amicizia con Angelica da parte dei genitori di ragazzi musulmani, in occasione delle festività ebraiche. E solo questo svela agli occhi di chi si lascia provocare da questo sguardo, il fatto che la convivenza fra culture diverse diventa solo un’immensa occasione di crescita, per costruire.

Anche a Bologna, dove le due ore di testimonianza sembravano troppo poche. Dove, oltre agli studenti,  anche Guido Ottolenghi, presidente della comunità ebraica cittadina e rappresentanti della società civile, come l’assessore provinciale Rebaudengo, hanno partecipato alla possibilità di sperimentare la pace con strumenti concreti. Angelica, assieme all’amica palesintese Samar Sahar, ha vinto il Premio per la Pace di Assisi del 2004. Sono candidate al Premio Nobel per la Pace. Proprio Samar Sahar sarà presente al Collegio Alma Mater il 2 marzo, per raccontare la sua testimonianza.