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Tumore del cavo orale: un test per trovare le alterazioni geniche a rischio

Nato all’Università di Bologna, è un semplice spazzolino che preleva un campione di cellule della bocca su cui si andrà poi a rilevare la presenza di alcuni marker genetici che possono essere indicatori di pericolo

Un semplice spazzolino che sfregato all’interno della bocca consente, in modo rapido e indolore, di individuare la presenza di alterazioni epigenetiche che potrebbero portare a un tumore del cavo orale. È il nuovo test – protagonista di due importanti pubblicazioni scientifiche e già brevettato – nato all’Università di Bologna, grazie al lavoro congiunto di una squadra di docenti e ricercatori di Patologia orale alla Clinica odontoiatrica Unibo, di Chirurgia maxillo-facciale al Policlinico di Sant’Orsola e di Anatomia patologica all’Ospedale Bellaria.

Il sistema, che potrà essere utilizzato in qualsiasi studio dentistico, consente di raccogliere facilmente, con un semplice “brushing”, un campione di cellule della bocca su cui si andrà poi a rilevare la presenza di alcuni marker genetici. In particolare, i ricercatori hanno individuato modificazioni nel livello di metilazione del DNA in 13 geni che sono indicatori di rischio. Se un gene viene metilato viene spento, mentre viceversa se il suo livello di metilazione è basso o nullo, il gene viene riattivato. Nei tumori, i livelli di metilazione di alcuni geni chiave vengono alterati, e queste modificazioni avvengono molto precocemente nel processo di cancerogenesi. “Ecco perché – spiega Luca Morandi, che svolge attività di ricerca all’Anatomia patologica del Bellaria – sono stati scelti marcatori ‘epigenetici’ per effettuare questo tipo di diagnosi precoce”.

“La mucosa del cavo orale – spiega Lucio Montebugnoli, coordinatore del Reparto di Patologie del cavo orale Unibo – è un sistema in continuo rinnovamento: ogni mese le cellule degli strati più profondi si riproducono e si dividono per sostituire quelle che si esfoliano negli strati più superficiali”. La nostra bocca, però, entra in contatto ogni giorno con sostanze esterne. E tra queste possono esserci agenti mutageni – derivati ad esempio da un certo tipo di alimentazione o dal fumo o da altri inquinanti – che portano ad alterazioni geniche ed epigenetiche. “Queste alterazioni si accumulano negli anni all’interno del DNA delle cellule del cavo orale, trasmettendosi ogni mese alle cellule figlie”, continua il prof. Montebugnoli. “E al raggiungimento di un ‘numero soglia’ di alterazioni il rischio che si sviluppi un cancro diventa reale”.

La sfida dei ricercatori, quindi, era riuscire a trovare un sistema in grado di misurare queste alterazioni prima della comparsa della malattia, individuando in cellule apparentemente normali la presenza di specifiche modificazioni epigenetiche.

“La particolarità del sistema che abbiamo messo a punto – sottolinea Maria Pia Foschini, direttrice dell’Anatomia patologica all’Ospedale Bellaria – è la capacità di studiare in un colpo solo 13 geni diversi, tutti legati al cancro orale. In questo modo si aumentano le probabilità di rilevare alterazioni epigenetiche che possono portare all’insorgenza del cancro”.

Ma a chi potrà servire questo test? “Ci sono tre applicazioni principali”, dice ancora Lucio Montebugnoli. “Una epidemiologica, a livello generale, per vedere se in un soggetto sono presenti cellule alterate. Poi ci sono i pazienti che presentano lesioni visibili nel cavo orale, definite potenzialmente maligne, alcune delle quali in predicato di sviluppare il cancro. Ed infine il test potrà essere molto utile per i soggetti che sono già stati operati per la malattia: in questo modo possiamo individuare precocemente altre aree della bocca con alterazioni epigenetiche potenzialmente pericolose”.

Il rischio di recidiva nel tumore del cavo orale, infatti, è alto. “Abbiamo rilevato – spiega a questo proposito Achille Tarsitano, ricercatore della Chirurgia maxillo-facciale al Policlinico Sant’Orsola – che una metà dei pazienti già operati di tumore presenta geni positivi anche nella zona dove il tumore è stato asportato”.

Il percorso del test per arrivare alla diffusione sul mercato, intanto, è già a buon punto. “Lo abbiamo già testato con successo su più di centocinquanta pazienti, è stato brevettato ed è stato già oggetto di due importanti pubblicazioni scientifiche che ne certificano l’efficacia”, conferma Davide Gissi, ricercatore al reparto di Patologia orale dell’Alma Mater. Ora la sperimentazione si allargherà a livello nazionale. “Ad aprile avvieremo una nuova batteria di test – spiega Luca Morandi – coinvolgendo altre università italiane, alle quali chiederemo di inviarci quanti più campioni possibile in modo da aumentare la casistica di studio”.

E una volta superata questa ulteriore prova, il test sarà pronto per essere messo sul mercato. “Siamo in una fase avanzata della ricerca, con risultati che ci sembrano ottimi”, conclude Claudio Marchetti, direttore della Chirurgia maxillo-facciale del Sant’Orsola. “Ora estenderemo i test su base nazionale per verificare se la metodica è affidabile: da noi lo è, ma serve un’ulteriore conferma”.