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I possibili costi cognitivi e non cognitivi dell’asilo nido per i bambini delle famiglie abbienti

Da un’indagine realizzata su un campione di circa 450 famiglie è emerso che per i figli delle famiglie relativamente abbienti composte da due genitori conviventi ed entrambi con un lavoro frequentare l’asilo nido porta a costi cognitivi e non cognitivi. Servono maggiori investimenti per potenziare il rapporto adulti-bambini, che dovrebbe essere il più possibile vicino a quanto avviene in famiglia


Non una critica alla presenza degli asili nido, che anzi si rivelano una risorsa molto preziosa per un gran numero di famiglie, ma un’analisi sui possibili costi cognitivi e non cognitivi in particolare per i bambini delle famiglie abbienti composte da due genitori conviventi ed entrambi con un lavoro. In uno studio pubblicato sul Journal of Political Economy, una delle riviste più prestigiose al mondo nel campo delle scienze economiche, un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna presenta i risultati di un’indagine realizzata su un campione di circa 450 famiglie.

“Abbiamo applicato a questo campione una tecnica statistica quasi sperimentale nota come Regression Discontinuity Design – spiega Giulio Zanella, professore dell’Università di Bologna tra gli autori dello studio – che consente di confrontare bambini provenienti da famiglie simili ma con periodi di frequenza all’asilo nido di diversa lunghezza, producendo quindi stime di effetti causali”.

COSTI COGNITIVI E NON COGNITIVI
Da questa analisi i ricercatori hanno rilevato che una più intensa frequenza all'asilo nido (circa 6 mesi in più, rispetto a una frequenza media di circa 17 mesi per i bambini nel campione che hanno frequentato) risulta in un quoziente intellettivo ridotto nella misura dello 0,3% all’età 8-14 anni, che aumenta a 0,5% per le famiglie particolarmente abbienti in questo gruppo già benestante. Inoltre è stato misurato, per i bambini provenienti da quest’ultima tipologia di famiglie, un peggioramento nella misura dello 0,1% in tre dei cinque grandi tratti della personalità: amicalità, apertura mentale e stabilità emotiva. Effetti, questi, che sono più pronunciati in particolare per le femmine: come già rilevato da altri studi, infatti, i bisogni delle bambine sono in genere più sottili di quelli dei bambini e richiedono quindi particolare cura e attenzione a partire dalla primissima infanzia.

“Il modello economico utilizzato nell’articolo – continua Zanella – spiega gli effetti stimati ricorrendo ad un gruppo di teorie psicologiche affermate secondo le quali nei primissimi anni di vita i bambini hanno bisogno di interazioni 'uno a uno' con gli adulti per lo sviluppo delle proprie capacità cognitive e comportamentali. L’effetto positivo di queste interazioni 'uno a uno' è tanto maggiore quanto più esse sono combinate con maggiori risorse economiche, umane e culturali”.

VALORIZZARE GLI ASILI NIDO
Questi risultati – mettono in chiaro i ricercatori – non significano che l’asilo nido non debba essere utilizzato. “L'effetto negativo che emerge dallo studio – sottolinea Zanella – si riferisce solo a bambini di famiglie abbienti, con due genitori in coabitazione ed entrambi con redditi da lavoro. Nulla nel nostro studio autorizza a concludere che l'effetto negativo sia generalizzato. Anzi, il modello economico da noi utilizzato predice che gli effetti dell’asilo nido sarebbero positivi in famiglie relativamente svantaggiate, in linea con quanto precedentemente trovato in contesti diversi dall’Italia dagli studi empirici che si sono concentrati sulle famiglie meno abbienti”.

La ricerca suggerisce quindi di valorizzare gli asili nido con maggiori investimenti per potenziare il rapporto adulti-bambini, che dovrebbe essere il più possibile vicino a quanto avviene in famiglia. Oppure di prolungare il congedo parentale per entrambi i genitori, non solo per le madri: infatti – sottolineano ancora i ricercatori – nulla nello studio autorizza a concludere che i risultati riflettano la riduzione della sola cura materna.

IL METODO DI ANALISI
Ma come hanno fatti i ricercatori a raggiungere queste conclusioni? Lo studio ha preso in considerazione circa 6500 famiglie caratterizzate da due genitori conviventi ed entrambi con un lavoro che hanno fatto domanda per l’ammissione di una bambina o di un bambino di età compresa tra 0 e 2 anni in un asilo nido del Comune di Bologna (o privato convenzionato) tra il 2001 e il 2005.

Circa 450 di queste famiglie sono state coinvolte nello studio tra il 2013 e il 2015, quando i bambini avevano un’età compresa tra 8 e 14 anni. Psicologhe professioniste hanno somministrato ai bambini test clinici per la misurazione del quoziente intellettivo e dei tratti della personalità. I dati raccolti sono stati poi combinati con altri dati amministrativi forniti dal Comune di Bologna, dove l’assegnazione dei posti negli asili nido preferiti da ogni famiglia avviene scorrendo una graduatoria di ammissione che, per questo tipo di famiglie, riflette solo l’ISEE.

In particolare, l’ammissione viene offerta iniziando dalla famiglia con l’ISEE più basso fino all’esaurimento dei posti disponibili. I bambini con un ISEE uguale o appena inferiore a quello dell’ultimo ammesso frequentano l’asilo nido preferito per un numero di giorni maggiore di quello dei bambini con un ISEE appena superiore. Questi ultimi vengono assegnati ad asili meno preferiti o non vengono ammessi ad alcun asilo, ricorrendo quindi più frequentemente a cure familiari (principalmente nonni, genitori e babysitter).

Dato che le famiglie vicine alla soglia di ammissione sono statisticamente comparabili, i ricercatori hanno potuto sfruttare le differenze nel numero di giorni trascorsi all’asilo dai bambini che vengono ammessi all’asilo preferito rispetto a quelli che vengono ammessi a un asilo meno preferito o a nessun asilo, per misurarne l’effetto su intelligenza e tratti della personalità a età successive.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Political Economy con il titolo “Cognitive and non-cognitive costs of daycare 0–2 for children in advantaged families”. Gli autori sono Margherita Fort, Andrea Ichino e Giulio Zanella del Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Bologna.