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Plastica nell’Adriatico: le tartarughe marine sentinelle e vittime dell’inquinamento

Un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna ha trovato detriti plastici nelle feci di 45 esemplari ricoverati all’Ospedale delle Tartarughe della Fondazione Cetacea di Riccione. Non solo un segnale dell’alto livello di materiali inquinanti presenti nel mare, ma anche un pericolo per la salute di questi animali già oggi fortemente minacciati


Un esemplare di tartaruga marina al Centro di Recupero Cura e Riabilitazione delle Tartarughe Marine (CRTM) di Riccione (Foto: Carlo Marinacci)


Le tartarughe marine sono al tempo stesso testimoni e vittime dell’alto livello di inquinamento da plastica che affligge il mar Adriatico. Un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna ha analizzato 45 esemplari ricoverati all’Ospedale delle Tartarughe della Fondazione Cetacea di Riccione, trovando in tutti i casi detriti plastici nelle loro feci. I risultati delle analisi – pubblicati oggi sulla rivista Frontiers in Marine Science – non solo confermano il ruolo delle tartarughe come sentinelle dell’inquinamento marino, ma mostrano anche come la presenza di plastica nel loro intestino può alterarne il microbiota, provocando pericolose conseguenze per la salute di questi animali già oggi fortemente minacciati.

“Gli esiti di questo studio sono una dimostrazione della pervasività dell’inquinamento da plastiche nell’ecosistema di un mare estremamente sfruttato come l’Adriatico”, spiega Elena Biagi, ricercatrice al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio. “I detriti plastici originati da questi rifiuti entrano nella catena alimentare e possono essere ritrovati ad alte concentrazioni nelle feci di predatori apicali, come le tartarughe marine, con conseguenze negative per la loro salute, dovute anche a variazioni indotte nel loro microbiota intestinale”.

TARTARUGHE SENTINELLE
Si stima che ogni anno più di 10 milioni di tonnellate di plastica finiscano negli oceani, tanto che i materiali plastici costituiscono oggi più dell’80% del totale delle sostanze inquinanti nei mari di tutto il mondo. Tra mammiferi marini, uccelli e tartarughe di mare, sono circa 260 le specie animali che rischiano la vita a causa di questi rifiuti: ingerendoli o restando intrappolate. Inoltre, con il tempo la plastica si spezza in piccoli frammenti e filamenti (microplastiche) che possono venire ingeriti da pesci e molluschi, e risalire così la catena alimentare dei predatori, fino ad arrivare all’uomo.

In questo contesto, le tartarughe marine (Caretta caretta) sono importanti specie sentinelle del livello di inquinamento dei mari, perché la loro salute è strettamente correlata alla salute generale dell’ecosistema in cui vivono. I rifiuti plastici, in particolare, sono una pericolosa minaccia: le tartarughe li possono infatti ingerire sia direttamente, scambiandoli per prede, o in modo accidentale durante il movimento, o anche indirettamente, nutrendosi di piccoli animali già contaminati da microplastiche.

Per studiare nel modo più fedele possibile la condizione di questi animali nel loro ambiente naturale, i ricercatori hanno così analizzato i campioni fecali di 45 esemplari ricoverati nel Centro di Recupero Cura e Riabilitazione delle Tartarughe Marine (CRTM) gestito dalla Fondazione Cetacea a Riccione, in provincia di Rimini. Trovando in tutti i casi studiati tracce di detriti plastici: un dato che mostra il preoccupante livello di inquinamento dell’alto Adriatico, dovuto alle attività di pesca e di acquacoltura, sommate a quelle turistiche.

“I nostri risultati mostrano che le feci di tutte le 45 le tartarughe considerate nello studio contenevano detriti plastici, indipendentemente dal periodo di permanenza all’interno del centro di recupero”, dice la professoressa Silvia Franzellitti, del Laboratorio di Fisiologia animale e ambientale dell’Università di Bologna, tra le autrici dello studio. “Sebbene i dati ottenuti siano difficili da confrontare con la letteratura disponibile, poiché la maggior parte dei dati pubblicati in passato sono stati ricavati da necroscopie su animali morti, la nostra ricerca ci suggerisce che il livello di contaminazione plastica nelle feci delle tartarughe marine osservate sia piuttosto elevato, sia in termini di frequenza degli individui che hanno ingerito plastica che in termini di concentrazione di detriti nelle feci”.

Al CRTM di Riccione vengono curate e successivamente rilasciate decine di tartarughe marine ogni anno (Foto: Carlo Marinacci)


PLASTICA E MICROBIOTA
Questi dati non riguardano però solo il livello di inquinamento marino, ma coinvolgono anche direttamente lo stato di salute delle tartarughe. Una volta ingeriti, i detriti plastici si accumulano infatti nell’ultimo tratto del loro intestino, dove possono restare anche per alcune settimane prima di essere espulsi. Qui i residui plastici possono danneggiare l’epitelio intestinale, oltre che favorire l’assorbimento di composti chimici tossici contenuti al loro interno. Inoltre, possono interagire con il microbiota intestinale degli animali, alterandone la composizione e il funzionamento.

Il microbiota ha un ruolo fondamentale per la salute di tutti i vertebrati: contribuisce alla digestione e all’assimilazione dei nutrienti, regola il metabolismo, mantiene la funzionalità del sistema immunitario e aiuta a prevenire la colonizzazione da parte di batteri patogeni. Per questo, una sua alterazione può avere gravi ripercussioni sulla salute dell’organismo.

“La nostra analisi ha permesso di associare la presenza di detriti plastici a specifiche alterazioni patologiche del microbiota intestinale delle tartarughe, con conseguenze negative sulla loro salute”, conferma Elena Biagi. “Ad esempio, abbiamo notato la presenza di specie batteriche adattate a vivere insieme a composti chimici inquinanti, o anche specie potenzialmente patogene, provenienti dall’ambiente, che potrebbero aver colonizzato i detriti plastici prima dell’ingestione, utilizzandoli così per raggiungere l’ecosistema intestinale dell’animale”.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Questo studio - che conferma l’estrema urgenza con cui è necessario ridurre la dispersione di rifiuti plastici nei mari - è nato da una collaborazione tra la Fondazione Cetacea e l'Università di Bologna, con la Unit of Microbiome Science and Biotechnology del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie e il laboratorio di Fisiologia animale e ambientale del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali. La collaborazione è stata promossa grazie alla partecipazione degli enti coinvolti all’istituzione del Fano Marine Center, hub nazionale e internazionale di ricerca di eccellenza e riferimento nel Mediterraneo per gli studi di ecologia e biologia marina.

La Fondazione Cetacea Onlus si occupa della tutela dell’ecosistema marino, in particolare dell'Adriatico, attraverso attività di divulgazione, educazione e conservazione. Gestisce inoltre il Centro di Recupero Cura e Riabilitazione delle Tartarughe Marine (CRTM), in cui vengono curate e successivamente rilasciate decine di tartarughe marine ogni anno, catturate dalle reti da pesca o trovate spiaggiate durante i periodi più freddi. I risultati ottenuti dai ricercatori sono anche un esempio di come la ricerca scientifica possa coniugarsi con attività di conservazione e tutela della biodiversità, trovando importanti indicatori della salute dell’ecosistema marino in campioni che possono essere raccolti con facilità.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Marine Science con il titolo "Impact of plastic debris on the gut microbiota of Caretta caretta from Northwestern Adriatic Sea". Gli autori sono Elena Biagi, Margherita Musella, Giorgia Palladino, Daniel Scicchitano, Simone Rampelli, Silvia Franzellitti e Marco Candela per l'Università di Bologna, insieme a Valeria Angelini, Sauro Pari, Chiara Roncari di Fondazione Cetacea Onlus.