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Prevenzione cardiovascolare: gli effetti benefici delle statine

Uno studio guidato dall’Università di Bologna mostra che questi farmaci, comunemente usati per abbassare il colesterolo, possono ridurre il rischio di infarto, di insufficienza cardiaca acuta e di mortalità non solo per i pazienti con ipercolesterolemia, ma anche tra i fumatori e per chi soffre di diabete o ipertensione


Le statine – farmaci utilizzati comunemente per abbassare i livelli di colesterolo – possono portare alla riduzione del rischio di infarto, di insufficienza cardiaca acuta e di mortalità anche per chi non ha mai manifestato livelli elevati di colesterolo e precedenti malattie cardiache. È il risultato di uno studio guidato da ricercatori dell’Università di Bologna e pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.

L’indagine ha mostrato come il beneficio che si ottiene dall’utilizzo delle statine andrebbe ad aiutare non solo chi è affetto da ipercolesterolemia (livelli troppo elevati di colesterolo nel sangue), ma anche le persone con altri fattori di rischio, ad esempio i fumatori, chi soffre di ipertensione e i diabetici.

Si passa quindi dal concetto di prevenzione dell’ipercolesterolemia a un concetto più esteso, ovvero prevenzione del rischio globale cardiovascolare. Il calcolo del rischio cardiovascolare può essere ottenuto con uno strumento semplice (reperibile anche online) che chiunque può facilmente utilizzare rivolgendosi al medico curante.

"Oggi più che mai la prevenzione cardiologica è fondamentale per salvare vite umane: occorre arrivare ad una 'prevenzione totale del rischio cardiovascolare'", spiega Raffaele Bugiardini, afferente al Laboratorio di Epidemiologia e Cardiologia Clinica del Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale dell'Università di Bologna, e coordinatore dello studio. "I risultati che abbiamo ottenuto suggeriscono di passare dalla pratica clinica di somministrare statine in prevenzione primaria solo ai pazienti ipercolesterolemici ad un più largo scenario: la soglia di rischio è infatti facilmente raggiungibile in uomini con più di 40 anni o da donne con più di 50 anni che abbiano più di un fattore di rischio cardiovascolare".

L'utilizzo delle statine per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari (cioè per le persone che non hanno mai avuto disturbi cardiaci) è un tema dibattuto, che vede oggi una serie di indicazioni discordanti nelle principali linee guida a livello internazionale. Ci sono ad esempio pochi studi solo sulla popolazione anziana, e molti risultati riguardano soprattutto pazienti che avevano già avuto un infarto miocardico. Non è chiaro, inoltre se a guidare la terapia con statine sia il livello di colesterolo, né quali possano essere i suoi benefici quando vengono utilizzati anche altri farmaci per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari. Qual è quindi il rapporto rischio-beneficio nel somministrare le statine a persone con normali livelli di colesterolo e senza precedenti incidenti cardiovascolari?

Per cercare una risposta, gli studiosi hanno realizzato un ampio studio, basato sull'analisi dei dati di 14.452 pazienti di 12 paesi europei. I dati sono stati raccolti grazie all'ISACS (International Survey of Acute Coronary Syndromes), un registro internazionale collegato all'Università di Bologna. Tutti i casi studiati sono di pazienti arrivati all'attenzione medica per un primo episodio di sindrome coronarica acuta, senza precedenti esperienze di malattie cardiovascolari.

"L'analisi dei dati raccolti ha mostrato che l'uso delle statine porta ad una riduzione del 28% dei casi di insufficienza cardiaca acuta conseguente ad un infarto miocardico", spiega Bugiardini. "Inoltre, i dati hanno mostrato una riduzione della mortalità del 29% nei pazienti già ricoverati in ospedale per insufficienza cardiaca acuta a seguito dell’insorgenza di infarto miocardico. Il vantaggio della terapia con statine è quindi doppio: una percentuale minore di pazienti si presenta con un infarto complicato da insufficienza cardiaca e coloro che assumono statine e presentano insufficienza cardiaca hanno una sopravvivenza maggiore rispetto a coloro che non le assumono".

I risultati dello studio non hanno approfondito il tema dell’equilibrio tra benefici e rischi della terapia con statine: bilanciare un miglioramento della sopravvivenza da insufficienza cardiaca e infarto miocardico e i possibili effetti collaterali non è così intuitivo. La maggior lamentela da parte dei pazienti che assumono è il dolore muscolare. Altri effetti indesiderati sono molto rari e non è possibile prevedere chi presenterà questi disturbi. Sulla base di questo studio si può solo affermare che allargare la platea di coloro che assumono statine a individui con basso rischio cardiovascolare (meno del 10% di rischio), espone inutilmente queste persone agli effetti indesiderati, senza ottenere nessun indiscutibile vantaggio.

I risultati ottenuti, inoltre, mostrano che le statine possono portare benefici significativi tra gli anziani e, in minore entità, nelle donne.

“Purtroppo, negli studi precedenti su questo tema le percentuali di donne presenti erano molto limitate”, commenta Edina Cenko, ricercatrice al Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “I nostri risultati mostrano che i vantaggi delle statine sono più evidenti per gli uomini che per le donne: una differenza per la quale non ci sono ancora risposte certe e che va indagata attentamente”.


L’unico sottogruppo in cui la somministrazione di questo farmaco non esercita alcun effetto significativo è quello costituito dai pazienti con un rischio cardiovascolare a 10 anni inferiore al 10%, come da valutazione del rischio cardiovascolare globale.

"Visti i risultati ottenuti crediamo fortemente che le linee guida europee sull'utilizzo di questi farmaci vadano aggiornate", aggiunge Olivia Manfrini, professoressa al Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell'Alma Mater, tra gli autori dello studio. "La nostra analisi riporta eventi cardiovascolari fatali e non fatali come l’insufficienza cardiaca. Oggi gran parte degli eventi cardiovascolari sono infatti non fatali e non ha quindi senso valutare un farmaco solo sugli eventi fatali. Anche perché i primi spesso precedono i secondi solo di pochi anni".

"Rispetto a vent'anni fa il rischio cardiovascolare è certamente diminuito e di conseguenza anche l'attenzione sul tema. Tuttavia, tutt’ora vi sono poche persone che ricevono statine come terapia di prevenzione primaria", conclude Maria Bergami, ricercatrice al Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell'Alma Mater, tra gli autori dello studio. "Non dobbiamo dimenticare che le malattie cardiovascolari rimangono la prima causa di mortalità in Europa e nel mondo".

Lo studio è stato pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology con il titolo “Reduced Heart Failure and Mortality in Patients Receiving Statin Therapy Before Initial Acute Coronary Syndrome”.

Per l'Università di Bologna hanno partecipato ricercatori del Laboratorio di Epidemiologia e Cardiologia Clinica del Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale, diretto dalla professoressa Olivia Manfrini. Lo studio è stato condotto anche dagli attuali afferenti al laboratorio: professor Raffaele Bugiardini, dottoressa Edina Cenko e dottoressa Maria Bergami. Hanno partecipato inoltre studiosi di machine learning dell’Università di Cambridge (Regno Unito) e dell’Università della California, Los Angeles (Stati Uniti), insieme a studiosi di cardiologia dell’Università di Leeds (Regno Unito), dell’Università di Belgrado (Serbia), dell’Università di Zagabria (Croazia) e dell’Università Santi Cirillo e Metodio (Macedonia del Nord).