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Oltre la geopolitica: nuovi sguardi per capire le Relazioni Internazionali

Per comprendere il nuovo contesto mondiale serve una visione più ampia, davvero globale, che superi concetti e teorie contestate come quelle di geopolitica e di ordine liberale internazionale. UniboMagazine ne ha parlato con Michela Ceccorulli e Giovanni Agostinis, docenti al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali e promotori dell'ultima edizione della Conferenza Pan-Europea sulle Relazioni Internazionali, ospitata all’Università di Bologna


Michela Ceccorulli e Giovanni Agostinis, docenti al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali


L’ordine internazionale che ha guidato il mondo negli ultimi ottant’anni ci appare in frantumi. Gli equilibri sono saltati, gli schemi classici della politica internazionale sono ormai inutilizzabili. Ma in mezzo a conflitti di cui non si vede la fine e ad aree di tensione che continuano ad espandersi, quali sono le alternative possibili? Dove possiamo guardare per trovare frammenti di pace, pratiche di riparazione e strategie di azione politica?

Nuove risposte arrivano dall'ultima edizione della Conferenza Pan-Europea sulle Relazioni Internazionali, promossa dall'EISA, l'Associazione Europea di Studi Internazionali, e ospitata dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna. Realizzato con il supporto della Regione Emilia-Romagna, l’evento ha riunito a Bologna circa 1.400 studiose e studiosi da tutto il mondo che per cinque giorni si sono confrontati alla ricerca di soluzioni per promuovere e rilanciare il dialogo internazionale.

UniboMagazine ne ha parlato con Michela Ceccorulli e Giovanni Agostinis, entrambi docenti di Relazioni Internazionali al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Alma Mater e promotori del grande evento bolognese.

Guardando alla situazione internazionale, sembra che gli equilibri che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni siano in profonda crisi. È davvero così?
Michela Ceccorulli: Se consideriamo la visione tradizionale delle Relazioni Internazionali, incentrata sul ruolo dell’Europa e degli Stati Uniti, ci accorgiamo in effetti che quel sistema è riduttivo, non funziona più. Se però ascoltiamo la voce degli studiosi di aree geografiche diverse, con un’attenzione verso il mondo non-occidentale, le cose cambiano. Loro ci mostrano che ad essere entrate in crisi non sono le relazioni internazionali tout court, ma alcune categorie e teorie costruite in Occidente per interpretare e governare la politica mondiale, come l’idea di un ordine liberale internazionale, schiacciata dalle sue contraddizioni, dai suoi doppi standard, e dalla sua pretesa di superiorità morale. Il nuovo ordine internazionale deve essere visto e compreso mediante uno sguardo più ampio, davvero globale.

Giovanni Agostinis: In effetti, la disciplina delle relazioni internazionali ci fornisce molteplici strumenti concettuali e teorici in grado di spiegare quello che sta avvenendo nel mondo, di identificare cause e prevedere effetti. Tuttavia, con la perdita di centralità dell’Europa e degli Stati Uniti e la nascita di un ordine internazionale multipolare, sta venendo meno il consenso attorno a quei concetti e quelle teorie che sono nati nei paesi occidentali e sono divenuti egemonici in virtù della posizione di potere occupata dall’Occidente dalla rivoluzione industriale in avanti. Oggi emergono tensioni e contrasti politici ed economici a livello globale che rendono più difficile arrivare a una comprensione comune della realtà. Il maggior pluralismo accademico, almeno per ora, sembra generare frammentazione cognitiva più che vera innovazione teorica.

Quali sono i passi da fare per arrivare a uno sguardo più ampio e condiviso dei rapporti tra popoli e tra stati?
M.C.: Un passo importante da fare per creare nuovi spazi politici e di dialogo sarebbe quello di ripensare criticamente al concetto di ‘geopolitica’, oggi richiamato ampiamente nel dibattito accademico e pubblico. In Italia e in Europa c'è ancora una forte tendenza ad analizzare le relazioni politiche e le questioni di sicurezza con questo schema che però oggi è molto riduttivo rispetto alla complessità delle dinamiche internazionali. La disinvoltura con cui si evoca e si usa il termine pone rischi significativi, sia sul piano teorico che sul piano pratico. L’accademia dovrebbe sforzarsi di restituire questa complessità.

G.A.: Aggiungerei che l’approccio geopolitico considera gli stati come unici attori delle relazioni internazionali, ignorando il ruolo dei diversi soggetti, politici, sociali ed economici, che agiscono tanto all'interno degli stati quanto nell’ambito delle reti di collaborazione transnazionali.

Eppure, la tendenza ad osservare le dinamiche internazionali con lo sguardo della geopolitica sembra ancora molto diffusa.
M.C.: L’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina ha riportato in auge questo approccio, probabilmente perché, ad un primo sguardo, riconducibile a categorie del passato facilmente riconoscibili: l’utilizzo della forza armata verso un attore più debole per reclamare la propria ‘sfera di influenza’ e modificare confini territoriali e mappa politica. La ‘geopolitica’ funziona proprio per questo, perché è una rappresentazione semplificata della realtà: la mappa permette all’'esperto' l’analisi, la spiegazione e la prescrizione. Ma quello che possiamo vedere su una mappa è solo una minima parte di un insieme di fattori e processi storici, economici, giuridici e culturali molto più ricco.

G.A.: La geopolitica semplifica drasticamente la complessità delle relazioni internazionali presentando gli Stati come attori monolitici e identici tra loro, divisi e contrapposti unicamente dal volume di risorse e territorio di cui dispongono. La variazione nella disponibilità di tali risorse, particolarmente in relazione agli stati vicini, determina il comportamento degli stati a livello internazionale. Questa logica è messa in discussione da molteplici studi e teorie. Per questo, soprattutto nel dibattito pubblico, è importante mostrare che esistono approcci alternativi alla geopolitica, che offrono visioni meno aggressive e conflittuali delle relazioni internazionali.

Quali possono essere questi approcci alternativi?
M.C.: Il Convegno ha suggerito che ci sono diverse strade possibili. Un’indicazione importante è quella di analizzare e considerare le interconnessioni profonde tra processi economici e decisioni politiche: come l’economia influenza la politica e come la politica influenza l’economia. Un altro approccio interessante riguarda invece l’analisi dell’importanza crescente dei singoli leader politici, a discapito delle istituzioni politiche nazionali e internazionali, che stanno perdendo sempre più rilevanza.

G.A.: Per capire le dinamiche del presente, è molto importante comprendere le relazioni di potere tra stati e aree geografiche che sono emerse durante il periodo coloniale e si sono sviluppate poi nei decenni successivi. Questa sensibilità “post-coloniale” ci può aiutare a spiegare fenomeni molto complessi e comportamenti in apparenza contraddittori: pensiamo alla risposta delle diverse macroregioni del mondo alla guerra ucraina o al conflitto israelo-palestinese; lo stesso dicasi per le diverse risposte che vengono date all’ascesa vertiginosa della Cina.

Come si possono quindi ripensare le relazioni internazionali?
G.A.: Ripartendo dal riconoscimento dei rapporti violenti del passato e dei traumi che hanno causato, cercando di attuare politiche di riparazione. Lo sguardo tradizionale delle relazioni internazionali non ha permesso fino ad oggi di cogliere appieno questi aspetti, ma sta crescendo la consapevolezza della necessità di nuovi punti di vista.


M.C.: Questa visione ci permette di ricostruire le cause profonde di quello che vediamo oggi, di capire che le dinamiche internazionali contemporanee sono frutto di processi di dominio che risalgono all’ordine coloniale. Le politiche di riparazione ci permettono di prendere coscienza di questi rapporti di potere e dell’ordine mondiale affermatosi con gli eventi del passato.

In tutto questo, le istituzioni internazionali sembrano sempre più deboli. Cosa si può fare per ridare loro centralità?
M.C.: Questa delegittimazione delle istituzioni è uno degli elementi che caratterizzano la crisi dell’ordine liberale. Lo vediamo oggi molto chiaramente negli Stati Uniti, con attacchi al potere giudiziario, alla banca centrale o con il ritiro da trattati e organizzazioni internazionali. Con lo sgretolamento di istituzioni nate per tenere a bada il potere esecutivo e per negoziare soluzioni condivise, alcuni leader mondiali legittimano un’azione politica meno imbrigliata da ‘vincoli’, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

G.A.: Per le istituzioni multilaterali globali, come le Nazioni Unite, servirebbe una profonda riforma volta a garantire un peso maggiore e una rappresentanza più equa e permanente a quelle regioni del mondo che fino ad oggi sono state meno rappresentate e ascoltate. Sarebbe un passo fondamentale affinché queste istituzioni possano tornare ad essere vere piattaforme di dialogo per la risoluzione dei conflitti e delle dispute internazionali. Ciò può avvenire solo mediante riforme coraggiose che ridiano alle istituzioni internazionali create nel post-1945 legittimità universale.