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La lingua, la storia, la mente

26 Gennaio 2004

Centro San Domenico

A cosa serve la lingua? A comunicare, certamente, ma non solo. A spiegare cosa significa questa risposta interverrà Maria Luisa Altieri Biagi, ordinaria di Storia della Lingua Italiana, nell'ambito dei seminari organizzati dal centro san domenico.

Nell'ambito degli approfondimenti organizzati dal Centro San Domenico, nella Cappella Ghislardi di Piazza San Domenico 12, Maria Luisa Altieri Biagi, Ordinaria di Storia della Lingua Italiana all’Università di Bologna articolerà un seminario in due incontri - lunedì 26 gennaio e lunedì 2 febbraio - dal titolo "La lingua, la storia, la mente". Se chiediamo a qualcuno «a che cosa serve la lingua?» quel qualcuno, nella stragrande maggioranza dei casi, risponderà che: «serve a comunicare con gli altri, a dialogare». Risposta giusta, ovviamente, e aggiungiamo che non esiste potere più forte di quello della parola per stabilire equilibrati rapporti sociali e forme efficaci di interazione e di collaborazione (come è necessario per l' uomo, se vuole evitare di diventare uno schiavo, o un tiranno). Ma la risposta, pur giusta, è parziale. La lingua infatti serve all' uomo anche per parlare a se stesso, in quel particolare «monologo» interiore che è la formulazione linguistica del nostro pensiero: è una funzione cognitiva che può venir sottovalutata da chi pensa che il pensiero possa operare senza l' aiuto del linguaggio; ma il pensiero, in quanto capacità di trasformazione simbolica della realtà in concetti, è così strettamente associato al linguaggio da identificarsi con esso. È il linguaggio che consente al pensiero di articolarsi, di formularsi, di conquistare piena coscienza di se stesso. Ed è il linguaggio - aggiungeva un grande linguista del Novecento, Émile Benveniste - che «instaura una realtà immaginaria, anima le cose inerti, fa vedere ciò che ancora non esiste, riconduce qui ciò che è scomparso. [...] Non esiste potere più alto, e, a ben pensarci, tutti i poteri dell'uomo derivano senza eccezione da quello». Ma la lingua ha anche una dimensione storica che non va sottovalutata: la curiosità umana per il passato trova nella storia della lingua una palestra estremamente sollecitante, perché gli "oggetti" di cui si recupera la storia (le parole, le strutture sintattiche, ecc.) sono gli stessi che noi usiamo ancora oggi, quotidianamente. E conoscerne la storia significa ripercorrere un itinerario di cui siamo noi stessi i viandanti. Come diceva Heinrich Böll in un discorso del 1958, «Chi scrive o pronuncia la parola pane non sa cosa ha fatto: si sono combattute guerre per questa parola, essa ha provocato omicidi, porta in sé un’eredità formidabile, e chi la scrive dovrebbe sapere quale eredità porta e di che metamorfosi sia capace. Se noi, consapevoli dell’eredità insita in ogni parola, esaminassimo i nostri vocabolari, studiassimo questo catalogo della nostra ricchezza, scopriremmo che dietro ogni parola si nasconde un mondo, e chi pratica le parole [...] dovrebbe sapere che mette in moto dei mondi, che scatena forze polivalenti...».