I pazienti affetti da sindrome mielodisplastica, una forma di tumore del sangue, devono essere sottoposti a frequenti trasfusioni. Questo porta però in molti casi ad accumulare un sovraccarico di ferro: un fenomeno pericoloso che può danneggiare diversi organi e che finisce per ostacolare l’ematopoiesi, cioè il processo di formazione delle cellule del sangue. Per superare questo problema, è stato notato che in diversi casi ha effetti positivi la terapia ferrochelante, basata su farmaci in grado di catturare il ferro in eccesso e favorirne l’espulsione dall’organismo. Ma il meccanismo molecolare alla base di questo processo non è ancora del tutto chiaro.
Uno studio guidato da ricercatori dell’Università di Bologna (supportato da Fondi MIUR-PRIN, Fondazione Intesa San Paolo e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna) e pubblicato su The FASEB Journal ha ora fatto luce su questo tema, mostrando che un'alta espressione di un particolare enzima – chiamato Fosfolipasi C beta1 – e dei suoi bersagli molecolari – Ciclina D3 e PKCalpha – è associata ad una risposta positiva alla terapia con il farmaco ferrochelante deferasirox, che viene utilizzato nei pazienti con sindrome mielodisplastica sottoposti a trasfusioni.
“I risultati della nostra ricerca mostrano che l’azione dell’enzima Fosfolipasi C beta1 connessa alla terapia ferrochelante può favorire la riduzione dello stress ossidativo generato dall’eccesso di ferro”, spiega Lucio Cocco, professore dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. “La quantificazione di questo enzima potrebbe quindi aiutare sia a comprendere meglio i meccanismi alla base dello sviluppo della sindrome mielodisplastica, sia a predire a livello di singolo paziente quale sarà la risposta alla terapia ferrochelante”.
Inoltre, utilizzando metodiche di biologia cellulare e molecolare sia su cellule estratte da pazienti affetti da sindrome mielodisplastica che su modelli in vitro, i ricercatori hanno dimostrato che il trattamento con il farmaco ferrochelante deferasirox è stato anche in grado di ridurre la produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS), la più diffusa tipologia di radicali liberi. “Questo suggerisce che l’enzima Fosfolipasi C beta1 potrebbe diventare un nuovo importante bersaglio per lo sviluppo di specifiche ed innovative terapie personalizzate, basate sulla riduzione dello stress ossidativo e della produzione di specie reattive dell'ossigeno”, sottolinea il professor Cocco.
Lo studio è stato pubblicato su The FASEB JournalThe FASEB Journal con il titolo "Phospholipase C beta1 (PI-PLCbeta1)/Cyclin D3/Protein Kinase C (PKC) alpha Signaling Modulation during Iron-induced Oxidative Stress in Myelodysplastic Syndromes (MDS)". Per l’Università di Bologna hanno partecipato Alessandra Cappellini, Sara Mongiorgi, Antonietta Fazio, Stefano Ratti, Maria Vittoria Marvi, Anna Maria Billi, Lucia Manzoli, Lucio Cocco e Matilde Y. Follo, tutti attivi al Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie. Hanno partecipato inoltre studiosi dell’Istituto di Ematologia "Seràgnoli" del Policlinico di Sant’Orsola, dell’Università di Oxford (Regno Unito), del Korea Brain Research Institute (Corea del Sud) e dalla East Carolina University (USA).