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Una scoperta inaspettata: i calchi delle epigrafi di Butrinto

Si tratta di diverse decine di preziosi documenti di cui si era persa memoria: risalgono a quasi un secolo fa, quando il sito archeologico albanese fu riportato in luce per la prima volta


Butrinto sorgeva sulle rive dell’omonimo lago, di fronte a Corfù, nell’attuale Albania meridionale


Il progetto dedicato alla riscoperta archeologica dell’antica città romana di Butrinto, in Albania, regala una sorpresa inaspettata: diverse decine di calchi di epigrafi risalenti a circa un secolo fa, quando il sito venne indagato per la prima volta dagli archeologi italiani.

Promosso dall’Università di Bologna e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in accordo con l’Istituto di Archeologia di Tirana e con il Parco Nazionale di Butrinto, il progetto è nato nel 2015 e da allora ha lanciato una serie di missioni per riscoprire le molte testimonianze di questa ricca città dell’antico Epiro.

Nonostante le restrizioni e le difficoltà dovute alla pandemia, i lavori sono proseguiti anche quest’anno, grazie alla collaborazione in remoto con gli archeologi albanesi che hanno potuto recarsi sugli scavi. Una circostanza che ha portato gli studiosi dell’Alma Mater, insieme ai colleghi epigrafisti dell’Università di Macerata che da tempo collaborano al progetto - coordinati da Simona Antolini -, a potenziare il lavoro negli archivi, e ritrovare – proprio nei depositi dell’ateneo marchigiano – questi documenti di cui si era persa memoria.

I calchi ritrovati permettono di leggere con più chiarezza le epigrafi presenti nel sito archeologico


"L’emozione è stata la stessa di una scoperta archeologica", dice Enrico Giorgi, professore al Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Alma Mater che coordina il progetto. "Questi calchi sono reperti delicati, composti da una carta assorbente, imbevuta e battuta sull’originale per ottenere riproduzioni tridimensionali delle lettere incise sulla pietra: il loro valore è grande perché testimonia lo stato di conservazione delle epigrafi al momento della scoperta, permettendoci di tornare indietro nel tempo e leggerle meglio di quanto possiamo fare oggi".

I documenti ritrovati, arrivati in Italia passando per la Scuola archeologica italiana di Atene, risalgono al tempo di Luigi Maria Ugolini. Archeologo romagnolo formatosi all’Università di Bologna, Ugolini guidò la missione italiana in Albania che nel 1927 iniziò a scavare per la prima volta a Butrinto, assieme al topografo bolognese Dario Roversi Monaco. Da allora gli archeologi italiani hanno avuto un ruolo fondamentare nel portare alla luce i monumenti dell’antica città epirota, oggi sito patrimonio dell’Unesco all’interno del Parco Nazionale di Butrinto.

Situata sulle rive dell’omonimo lago, di fronte a Corfù, nell’attuale Albania meridionale, l’antica Butrinto è ricordata da Virgilio come una delle tappe del lungo viaggio di Enea verso il Lazio. Nel poema, l'eroe emerge dalle brume del lago davanti agli occhi della principessa troiana Andromaca e le risveglia il ricordo di Ettore, l’amato consorte perduto sotto le mura di Ilio. Una citazione, quella di Virgilio, dietro cui si intravedono i numerosi interessi che collegavano Roma a Butrinto: una terra abitata da personaggi influenti come Pomponio Attico, corrispondente di Cicerone. Interessi che continuarono a crescere anche durante il principato augusteo: lo dimostra ad esempio un ciclo di statue che raffigurano la famiglia imperiale trovato presso la scena del teatro.

Il Santuario di Asclepio, uno dei numerosi monumenti dell'antica Butrinto riscoperti dagli studiosi


A partire dal 2015 il progetto archeologico italo-albanese guidato dagli studiosi dell'Università di Bologna sta riscoprendo questa storia, applicando sul campo metodi e competenze acquisite nel corso di un altro prezioso progetto: quello realizzato negli stessi anni nell’ambito del Grande Progetto Pompei.

"Poter applicare anche a Butrinto i metodi e le competenze maturate a Pompei si è rivelata un'occasione straordinaria per l’archeologia italiana", dice ancora il professor Giorgi. "L’archeologia contemporanea è abituata a dialogare con le discipline scientifiche e i nostri studenti vengono addestrati a usare laser scanner e droni senza perdere l’abitudine dello studio in biblioteca. Con questo approccio è stato possibile riscoprire sotto una nuova luce il Santuario di Asclepio, la Porta Scea, la Porta del Leone, l’Acropoli, ma anche la Basilica, il Battistero, la Torre Veneziana, il Castello ottomano di Alì Pàscia e tanti altri monumenti ancora oggi pieni di fascino, immersi come sono nella vegetazione e bagnati dalle acque salmastre del lago". Un prezioso patrimonio storico che ora, grazie alla scoperta dei calchi delle epigrafi di Butrinto, potrebbe arricchirsi ulteriormente.