Analizzando oltre un milione di sequenze genetiche del coronavirus SARS-CoV-2, un gruppo di studiosi del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna ha individuato una nuova variante, che nelle ultime settimane è cresciuta soprattutto in Messico, ma di cui sono state trovate tracce anche in Europa. La “variante messicana” – presentata in un articolo pubblicato sul Journal of Medical Virology – si chiama T478K e, come le altre varianti emerse negli ultimi mesi, è caratterizzata da una mutazione della proteina Spike, lo strumento che permette al coronavirus di legarsi e penetrare nelle cellule bersaglio.
"Questa nuova variante è cresciuta molto di frequenza nella popolazione nordamericana nelle ultime settimane, in particolar modo nel Messico, dove oggi caratterizza più del 50% di tutti i virus circolanti: una crescita che ha velocità simili a quella della più nota 'variante inglese'", spiega Federico Giorgi, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna che ha guidato lo studio. "La mutazione della proteina Spike che la caratterizza si localizza nel dominio di interazione con la proteina umana ACE2, il recettore a cui il coronavirus si lega per infettare le cellule, e questo probabilmente favorisce la sua diffusione".
Gli studiosi sono partiti dall’analisi di tutte le sequenze genomiche di SARS-CoV-2 disponibili sui database internazionali fino allo scorso 27 aprile: quasi 1,2 milioni di campioni sequenziati. Di questi 11,435 erano riconducibili alla nuova variante T478K: più del doppio rispetto a quanti ne erano stati osservati un mese prima. Questa rapida crescita, partita all’inizio di quest’anno, è uno degli elementi che ha messo in allarme i ricercatori.
La “variante messicana” è distribuita in modo uniforme in entrambi i sessi e non sembra prediligere una particolare fascia d’età. In Messico rappresenta oggi il 52,8% di tutti i coronavirus sequenziati, mentre è al momento poco diffusa negli Stati Uniti (2,7% dei casi sequenziati). In Europa è emersa una bassa diffusione in Germania, Svezia e Svizzera, ma è praticamente assente in Italia, con solo quattro casi riportati.
La mutazione che caratterizza questa variante è localizzata nella regione della proteina Spike responsabile dell’interazione con la proteina umana ACE2: il meccanismo che permette l’accesso del coronavirus nelle cellule. Mutazioni di questo tipo caratterizzano tutte le varianti che sono state oggetto di attenzione nei mesi scorsi e che, grazie ad una maggiore capacità di infezione, hanno finito per diventare prevalenti in molte aree del mondo.
In particolare, da simulazioni in silico dell’azione della proteina Spike con la mutazione T478K, gli studiosi hanno mostrato che questa può alterare in modo significativo la carica elettrostatica superficiale della proteina e di conseguenza anche l’interazione sia con la proteina umana ACE2, che con gli anticorpi del sistema immunitario e l’azione dei farmaci.
“La grande quantità di dati disponibili a livello internazionale ci permette di tenere la situazione sotto controllo quasi in tempo reale, monitorando la diffusione delle varianti del coronavirus nelle diverse aree geografiche”, dice Giorgi in conclusione. “È molto importante continuare questo lavoro anche nei prossimi mesi per poter mettere in campo in modo tempestivo contromisure efficaci”.
Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Medical Virology con il titolo “Preliminary report on SARS-CoV-2 Spike mutation T478K”. Gli autori sono Simone Di Giacomo, Daniele Mercatelli, Amir Rakhimov e Federico Giorgi del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna.