Osservare il volto di una persona familiare attiva una serie di risposte cerebrali che coinvolgono le aree non solo visive ma anche legate alla cognizione sociale. Questo avviene perché il processo di familiarizzazione con i volti dipende anche dalle particolari esperienze che ognuno fa nell’interagire con gli altri.
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences ha ora mostrato che lo stesso codice neurale attivato in risposta a un volto familiare è condiviso nel cervello di quegli individui che conoscono quella stessa persona e appartengono alla stessa cerchia sociale. In particolare – questo il risultato più sorprendente –, il codice neurale condiviso non si trova soltanto nelle aree cerebrali che elaborano stimoli visivi, ma anche in aree legate all’orientamento nel contesto sociale, grazie alle quali possiamo sapere ad esempio chi è quella persona, quale posizione occupa nel nostro network sociale, quale tipo di atteggiamento ha verso di noi.
"Con questi dati abbiamo scoperto che, quando si tratta di volti che conosciamo personalmente, la condivisione di informazioni coinvolge sia aree cerebrali visive che non visive, quali quelle che hanno un ruolo importante nella cognizione sociale e nella risposta emotiva", spiega Maria Ida Gobbini, professoressa al Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell'Università di Bologna, tra gli autori dello studio.
Per arrivare a questa scoperta, gli studiosi, attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno registrato l’attività cerebrale in un gruppo di 14 studenti che si conoscevano tra loro da almeno due anni mentre osservavano volti sia di loro amici, sia di persone conosciute solo di vista. Inoltre, per gli stessi studenti è stata registrata anche l'attività cerebrale mentre guardavano alcune scene dal film "Grand Budapest Hotel". I dati ottenuti da quest'ultima prova – che sono stati resi pubblici – hanno permesso ai ricercatori di utilizzare un metodo, chiamato "iperallineamento" (sviluppato da uno dei coautori dello studio, Jim Haxby), il quale permette di creare uno spazio di rappresentazione comune grazie a cui è stato possibile confrontare l'attività cerebrale dei diversi partecipanti all'esperimento.
Dai risultati ottenuti è emerso che l’identità sia dei volti personalmente familiari che di quelli solo visivamente familiari viene decodificata con precisione nelle aree cerebrali maggiormente coinvolte nell'elaborazione visiva dei volti. Quando si tratta di volti noti solo di vista, però, non si riscontra alcun altro segnale significativo oltre le aree visive. Al contrario, quando si tratta di volti di persone conosciute personalmente, una quantità molto maggiore di informazioni risulta essere in comune tra i partecipanti.
In particolare, i ricercatori hanno rilevato un’attività di decodifica dei volti personalmente familiari nelle aeree di “teoria della mente” (che riguarda le abilità di capire gli stati mentali altrui) come la corteccia mediale prefrontale, legata all'elaborazione delle intenzioni e dei tratti sociali di altre persone, il precuneo, che ha un ruolo importante nel richiamare informazioni dalla memoria a lungo termine, l'insula, coinvolta nell'elaborazione delle emozioni, e la giunzione temporo-parietale, che svolge un ruolo importante nella cognizione sociale e nella rappresentazione degli stati mentali altrui.
"Il riconoscimento dei volti è una delle capacità più sviluppate nell’uomo, ha un’importanza fondamentale per le nostre interazioni sociali e determina il modo con cui ci rapportiamo agli altri: per questo, riconoscere i volti richiamando immediatamente le informazioni semantiche ad essi associate ci permette di avere l’approccio più appropriato per un’interazione efficace con le persone familiari", dice ancora Gobbini. "I risultati di questo studio suggeriscono che il codice neurale legato al riconoscimento dei volti personalmente familiari fa parte di uno spazio concettuale condiviso che ci permette anche di comunicare e scambiare informazioni sulle nostre conoscenze in comune".
Insomma, nonostante il processo di familiarizzazione con gli individui sia largamente dipendente anche dalle particolari esperienze che ognuno fa nell’interagire con gli altri, i dati ottenuti dagli studiosi suggeriscono che l'elaborazione dei volti familiari porta a formare "codici neurali" condivisi tra persone che si conoscono.
Lo studio è stato pubblicato su PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences con il titolo “Shared neural codes for visual and semantic information about familiar faces in a common representational space”. Gli autori sono Matteo Visconti di Oleggio Castello dell’Università della California, Berkeley (USA), James V. Haxby del Dartmouth College (USA) e Maria Ida Gobbini del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell'Università di Bologna.