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La prevenzione cardiovascolare con statine ha effetti benefici per gli over 75

L'utilizzo nella popolazione anziana di questi farmaci che trattano il colesterolo alto e aiutano a ridurre il rischio di cardiopatie è ancora dibattuto. Un nuovo studio specifico per pazienti di età superiore ai 65 anni mostra ora una significativa riduzione del rischio di infarto e della mortalità sia nei pazienti di età compresa tra i 65 e i 74 anni, sia in quelli con più di 75 anni


Uno studio guidato da ricercatori dell’Università di Bologna e pubblicato sulla rivista Cardiovascular Research ha mostrato che l'utilizzo di statine - un gruppo di farmaci utilizzati per abbassare i livelli di grassi nel sangue, cioè di colesterolo - porta alla riduzione del rischio di infarto e della mortalità sia nei pazienti di età compresa tra i 65 e i 74 anni, sia in quelli over 75. Un beneficio, questo, che si manifesterebbe non solo nei pazienti con ipercolesterolemia, ma anche nei pazienti che presentano altri fattori di rischio “tradizionali”, ad esempio nei fumatori, negli ipertesi e nei diabetici.

L'utilizzo delle statine per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari nella popolazione anziana è oggi dibattuto: le principali linee guida a livello internazionale offrono indicazioni diverse. Questo perché, secondo alcune fonti, questa tipologia di farmaci potrebbe avere una serie di controindicazioni che, tra gli anziani, aumenterebbe il rischio di effetti indesiderati. Tra questi, il sintomo più frequente è l'astenia, uno stato di debolezza generalizzato causato dalla diminuzione o alla perdita della forza muscolare.

"Questa indecisione sull'utilizzo delle statine nei pazienti anziani si basa sui fatti: ci sono infatti pochi studi sulla sola popolazione anziana per la prevenzione primaria della malattia coronarica, cioè per chi non ha mai avuto disturbi cardiaci di origine coronarica", spiega Olivia Manfrini, ricercatrice al Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell'Università di Bologna che ha guidato il gruppo di ricerca. "Gli studi realizzati finora riportano risultati ottenuti su popolazioni miste, in gran parte costituite da persone che avevano già avuto un infarto miocardico e con solo pochi casi di soggetti che, pur non avendo avuto nessun episodio cardiovascolare, presentavano fattori di rischio per queste malattie, in primis per l’infarto".

Con l’obiettivo di ottenere indicazioni specifiche, gli studiosi hanno quindi analizzato i dati di 5.619 pazienti di età superiore ai 65 anni in 12 paesi europei, tutti senza precedenti storie di malattie cardiovascolari. Un'analisi che ha rilevato come l’uso di statine porti ad una riduzione assoluta del 14,7% di infarto del miocardio con elevazione del segmento ST (STEMI), l'esito più grave delle malattie cardiovascolari. Inoltre, i dati hanno mostrato una riduzione della mortalità del 10,2% nei pazienti già ricoverati in ospedale per l’infarto STEMI.

Questi benefici dell'utilizzo di statine sono stati dimostrati su tutta la popolazione oggetto dello studio, indipendentemente dalla presenza di una storia di ipercolesterolemia, e sono risultati significativi anche per i pazienti di età superiore ai 75 anni. Nel complesso, i casi di infarto STEMI e la mortalità per i pazienti che assumevano terapia con statine sono risultati minori di circa il 45% rispetto ai pazienti che non assumevano questi farmaci.

"Questi risultati suggeriscono che è necessario rivedere l'utilizzo di terapie con statine per la popolazione anziana anche in coloro che sono senza una storia di patologie cardiovascolari", dice ancora Manfrini. "Soprattutto considerato che tra gli aspetti più strettamente legati all'insorgere di disabilità nella popolazione sopra i 65 anni, la cardiopatia ischemica è il più importante da un punto di vista epidemiologico".

La sola variabile emersa dallo studio rispetto ai benefici dell'utilizzo di statine per la prevenzione delle cardiopatie nella popolazione anziana è quella di genere: i vantaggi sono infatti risultati meno evidenti per le donne. Una differenza per la quale non ci sono ancora risposte certe.

"È possibile che questo fenomeno sia dovuto al fatto che per le donne quella dai 65 ai 75 anni è una fascia di età in cui l'infarto del miocardio può essere considerato ancora prematuro", spiega Manfrini. "Ma ci sono certamente fattori che devono essere studiati in modo più approfondito per arrivare a capire le motivazioni alla base di questa disparità".

Del resto, non va dimenticato che la popolazione anziana e le donne sono storicamente sottorappresentati nella maggior parte degli studi clinici sulla prevenzione cardiovascolare, e quindi le informazioni su questi sottogruppi sono scarse, con conseguenze che possono rivelarsi molto pericolose per la loro salute.

"La salute dell’anziano e l’invecchiamento in buona salute è una delle principali sfide comuni a tutti i paesi europei", dice in conclusione Manfrini. "La ricerca sulla prevenzione delle malattie croniche in tutte le sue forme, primaria, secondaria e terziaria, sono una parte essenziale della strategia volta limitare esiti gravi per i pazienti e assicurare al contempo la sostenibilità dei sistemi sanitari".

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cardiovascular Research con il titolo "Statins for primary prevention among elderly men and women". La ricerca è stata guidata un gruppo di studiosi coordinato da Olivia Manfrini, insieme a Maria Bergami, Edina Cenko e Raffaele Bugiardini del Laboratorio di epidemiologia e cardiologia clinica al Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna.

Hanno partecipato inoltre studiosi di machine learning dell’Università di Cambridge (Regno Unito) e dell’Università della California, Los Angeles (Stati Uniti), insieme a studiosi di cardiologia dell’Università di Leeds (Regno Unito), dell’Università di Belgrado (Serbia), dell’Università di Zagabria (Croazia) e dell’Università Santi Cirillo e Metodio (Macedonia del Nord).