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COVID-19: il rischio di reinfezione con forme severe resta molto basso anche dopo più di un anno

Meno di 1 paziente su 10.000 ha avuto una forma grave della malattia dopo la guarigione, anche a più di dodici mesi di distanza dal primo contagio: dati che suggeriscono come la protezione che deriva dall’immunità naturale resista a lungo nel tempo


Il rischio di reinfezione con una forma severa o letale di COVID-19 resta estremamente basso, anche a distanza di dodici mesi dalla prima infezione. È quanto rivela un nuovo studio – il primo al mondo con questa scala temporale – pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health e coordinato da Lamberto Manzoli, professore al Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell’Università di Bologna.

L’indagine ha seguito i casi di oltre centomila pazienti di una regione italiana, l’Abruzzo, che hanno contratto il COVID-19 dall’inizio della pandemia fino allo scorso febbraio, indagando il tasso di reinfezione e di malattia secondaria ad oltre un anno di distanza dalla prima guarigione.

“Esiste già un’ampia letteratura internazionale che mostra un rischio molto basso di malattia grave per i guariti, ma fino ad oggi nessuno aveva seguito i pazienti per oltre dodici mesi”, afferma il professor Manzoli. “È stato quindi importante constatare che, come per gli altri coronavirus, anche per il SARS-CoV-2 l’immunità naturale conferisce una protezione buona e duratura, perlomeno fino a diciotto mesi”.

Dai dati raccolti è infatti emerso che meno dell’1% dei guariti ha avuto una seconda infezione. Ma soprattutto, meno di 1 su 10.000 ha avuto una forma grave di COVID-19 dopo la guarigione. Nel dettaglio, su 119.266 pazienti si sono registrate 729 reinfezioni, con otto casi di ospedalizzazione e due decessi. Altro dato importante, i casi di reinfezione sono rimasti sostanzialmente costanti nel tempo, anche a distanza di 18-22 dalla guarigione: elemento che suggerisce come la protezione che deriva dall’immunità naturale resista di norma anche più di 12 mesi.

Nonostante l’arrivo della variante Omicron, estremamente contagiosa, abbia fatto però aumentare il rischio di contrarre la malattia anche per chi è già guarito, i casi di malattia grave o decesso restano vicini allo zero. E lo studio ha evidenziato che il vaccino continua a fornire uno scudo di protezione significativo: per i vaccinati il rischio di reinfezione è infatti di circa il 70% inferiore rispetto ai non vaccinati.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health con il titolo “Risk of SARS-CoV-2 Reinfection 18 Months After Primary Infection: Population-Level Observational Study”. L’indagine è stata coordinata da Lamberto Manzoli dell’Università di Bologna; hanno partecipato inoltre Cecilia Acuti Martellucci e Maria Elena Flacco dell’Università di Ferrara, insieme a Graziella Soldato, Giuseppe Di Martino, Roberto Carota e Antonio Caponetti della ASL di Pescara.