Lezione di matematica. La professoressa vi chiama alla lavagna: dovete risolvere un’equazione. Gli occhi di tutta la classe sono puntati su di voi. Iniziate a svolgere i calcoli, ma dopo poco vi accorgete di aver fatto un errore. E adesso? È un momento molto importante, non solo per questa singola interrogazione, ma anche perché la reazione della professoressa e della classe può rivelarsi determinante per la vostra propensione allo studio della matematica e, in definitiva, per il vostro voto finale in pagella.
A mostrarlo è una nuova ricerca guidata da studiosi dell’Università di Bologna, dell’Università di Ferrara e dell’Università di Losanna (Svizzera), pubblicata sulla rivista Learning and Instruction. Lo studio mostra come studentesse e studenti che percepiscono in classe un clima positivo rispetto alla gestione dell’errore hanno anche reazioni emotive e comportamentali più funzionali e, di conseguenza, voti scolastici in matematica più alti. In poche parole, la gestione dell’errore in senso positivo in aula è correlata significativamente con una migliore capacità di apprendimento.
“Fare errori dovrebbe essere una parte integrante del processo di formazione, un’opportunità per imparare, ma il collegamento con la valutazione e la competizione in classe può portare anche ad una paura dell’errore, con conseguenze negative sull’apprendimento”, spiega Annalisa Soncini, dottoranda al Dipartimento di Psicologia "Renzo Canestrari" dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio. “Per questo, la gestione degli errori degli alunni e delle alunne in modo funzionale e adattivo è di fondamentale importanza per la creazione di un clima di classe che sia il più possibile favorevole alla loro formazione”.
Le strategie di gestione dell’errore che vengono utilizzate dagli insegnanti contribuiscono infatti a creare un “clima di classe relativo all’errore” che gli alunni e le alunne possono percepire come positivo o negativo. E questo influisce sulle loro reazioni emotivo-motivazionali e sui comportamenti individuali legati all’errore, che possono quindi essere funzionali, portando a utilizzare l’errore come stimolo per imparare, oppure disfunzionali, portando a temere l’errore e le sue conseguenze.
Per esplorare queste dinamiche, gli studiosi hanno interpellato 563 studentesse e studenti di 32 classi in scuole secondarie di primo grado italiane: l’obiettivo era capire se il tipo di clima di classe relativo all’errore che viene percepito è collegato ai risultati di apprendimento, ovvero ai voti ottenuti dagli alunni in matematica.
“È il primo studio che analizza questo fenomeno con un modello comprensivo, che tiene conto delle diverse variabili in gioco, e i risultati mostrano che la percezione del clima di classe relativo all’errore è in effetti indirettamente associato con i voti ottenuti dagli studenti”, dice Soncini. “Questo vale sia a livello individuale, a seconda della percezione dei singoli alunni rispetto al clima relativo all’errore, sia a livello di classe: gli studenti di classi in cui è stato registrato un clima più positivo avevano infatti reazioni emotivo-motivazionali più adattive nei confronti degli errori e voti in matematica più alti”.
Gli studiosi sottolineano come la costruzione di un clima relativo all’errore positivo dipende dal modo con cui gli insegnanti gestiscono gli errori degli studenti durante la lezione. I risultati ottenuti possono quindi essere utilizzati per sensibilizzare e formare gli insegnanti sull’importanza di dare vita ad un’ambiente, in classe, in cui uno sbaglio possa essere visto come un’opportunità per imparare, incoraggiando gli studenti nel loro percorso di formazione.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Learning and Instruction con il titolo “Positive error climate promotes learning outcomes through students’ adaptive reactions towards errors”. Gli autori sono: Annalisa Soncini, Maria Cristina Matteucci e Carlo Tomasetto del Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Università di Bologna, insieme a Emilio Paolo Visintin dell’Università di Ferrara e Fabrizio Butera dell’Università di Losanna (Svizzera).