Quattro gli indicatori sotto la lente d’indagine: salute percepita, misura di felicità, misura oggettiva di benessere fisico e misura oggettiva di benessere mentale. Sono la base dell’analisi condotta sui dati raccolti relativi ad un campione di 8280 individui attivi nel mercato del lavoro tra i 15 e i 30 anni. Il risultato della precarietà? "Una riduzione del benessere psicologico – si legge in un articolo pubblicato dai tre ricercatori su Lavoce.info – che sembra molto simile a quella causata dalla disoccupazione con cui il precariato condivide molte caratteristiche come basse credenziali e basso reddito".
Se da un lato, negli ultimi venti anni, le condizioni di lavoro sono cambiate in tutta dell’Europa, con una drastica riduzione dei contratti standard e full-time a vantaggio dei contratti da tempo determinato, dall’altro proprio nel nostro Paese sono quasi del tutto assenti studi che mettano in relazione il lavoro atipico e la salute dei lavoratori. Questo è il vuoto che i ricercatori hanno voluto colmare.
Sono partiti da una ricerca dell’Istat dal titolo "Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari" che hanno integrato con i micro dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia. E sono giunti a dimostrare che esiste un effetto negativo dei contratti di lavoro a tempo determinato sulla salute psicologica dei lavoratori italiani che si quantifica "in circa mezzo punto percentuale in meno di salute psicologica nello score di salute mentale".
Del problema risentono meno le donne che probabilmente grazie al lavoro flessibile, riescono a conciliare meglio i tempi di vita con quelli lavorativi. Tra gli uomini invece il massimo della sofferenza psichica pesa sui cosiddetti "bread winner", la cui principale fonte di reddito è rappresentata dal lavoro stesso.