La storia immortale
Gabriele Lavia mette in scena il racconto di Karen Blixen "La storia immortale", che lo vede regista e interprete insieme a Carlo Cecchi.
Repliche fino a domenica 2 marzo, feriali alle ore 21 e la domenica alle ore 16.
«Un uomo è il racconto della sua storia»: solo dalla sua storia dipendono la vita, l'eternità, la memoria, che né il denaro né il potere potranno mai comprare. Questa la filosofia di Karen Blixen, di cui Gabriele Lavia mette in scena il racconto "La storia immortale", che lo vede regista e interprete insieme a Carlo Cecchi. Coetanei, registi, provenienti da esperienze teatrali profondamente diverse, i due attori, per la prima volta in coppia sul palcoscenico, portano in teatro un'opera di cui Orson Welles realizzò nel 1968 una trasposizione cinematografica.
Per Clay (Cecchi, nella parte che sullo schermo fu di Welles), ricchissimo commerciante di tè, non c'è altro al mondo oltre gli affari. Ormai vecchio e inchiodato sulla sedia a rotelle, reso ancora più rapace ed egoista dal suo declino, "ha ucciso il sonno" come Macbeth e trascorre le notti facendosi leggere i suoi libri contabili dal commesso Elishama Lewinskj (Lavia), un ebreo scampato ai campi di sterminio.
Ma un giorno, quando i registri finiscono e non c'è più niente da leggere, Clay si ricorda che esistono anche i "resoconti di cose immaginate", e che questi si chiamano "storie". Il mondo del reale e dei numeri si scontra con il mondo dell'immaginazione e delle passioni: per l'uomo "senza storia" questo è intollerabile. Vorrà dominare il mondo dell'immaginazione trasformandolo in realtà. Clay rammenta che, da giovane, ha sentito raccontare una di queste storie da un marinaio. E, invertiti i ruoli, inizia a narrarla lui al commesso. In un porto orientale, un ricco signore, impotente, in cambio di molto denaro aveva chiesto a un bellissimo marinaio di passare la notte con la sua giovane moglie, per dargli un erede.
Elishama conosce già quella storia: tutti i marinai la raccontano e fingono di crederci, ma è solo un'invenzione. Clay allora decide di appropriarsene: di farla accadere davvero, tra uomini reali. Perché faticare per costruirsi una storia di vita? Ce n'è una già bell'e pronta. Elishama ingaggia Powl, un giovane marinaio (Giorgio Lupano), e – all'insaputa del suo titolare – Virginie (Raffaella Azim), figlia del vecchio socio di Clay, mossa a partecipare all'inquietante rappresentazione soltanto dal desiderio di vendetta contro il commerciante, che lei ritiene responsabile del suicidio del padre.
Ora i personaggi ci sono tutti: ma può una storia accadere partendo dalla fine? Può esistere una storia prima di una vita? «La Storia immortale – spiega Lavia - non scorre lungo il tempo lineare che ha un principio e una fine, ma gira nel tempo dell'eterno ritorno. Uno specchio che riflette uno specchio».
La storia e i personaggi, nei due atti dello spettacolo, mutano in modo diverso dalle aspettative proprio fra i sipari e le diciotto, enormi specchiere in movimento della scena di Paolo Tommasi, che rimandano alla descrizione blixeniana della casa di Clay, «ma anche – continua Lavia - ai miti antichi di Dioniso, di Teseo e a quello di Narciso, che vi scopre l'altro da sé». Questo intarsio misterioso diventa una metafora del teatro. Chi è il vero regista della messinscena: Clay o Elishama? Si instaura un "finale di partita" beckettiano fra il ricchissimo avventuriero, che vuole incarnare il sogno di comandare il corso degli eventi, e il mefistofelico perdente, che cerca di riscattarsi tessendo trame intricate. In ogni caso, la sconfitta sarà totale. «Clay, in un delirio di onnipotenza che confonde l'Avere con il Dominare – riflette Lavia - sarà solo un burattino inconsapevole dentro la Storia, come i grandi potenti della terra, da Cesare a Napoleone a Hitler, fino ai nostri più goffi contemporanei».
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