Autore: Angelo Varni (a cura di)
Editore: Compositori
Prezzo: 20 euro
Nel 1902 si diede inizio all’abbattimento delle mura che per secoli avevano protetto la città di Bologna. La demolizione, già prevista dal Piano Regolatore del 1889, fu preceduta da un dibattito che coinvolse gran parte dei cittadini, i quali si schierarono in due fazioni contrapposte, l’una favorevole, l’altra contraria all’abbattimento. Nello stesso periodo, anche altri centri urbani, in Italia e in Europa, dovettero far fronte a questo dilemma, dettato dalla necessità di modernizzare la struttura delle città antiche per venire incontro alle esigenze di una popolazione in continuo aumento.
Nel dicembre 2002 il Laboratorio sulla storia dei Centri Storici Urbani, in occasione del centenario dell’inizio della distruzione delle mura di Bologna, ha organizzato un convegno internazionale per riflettere su questi avvenimenti. Nel libro "I confini perduti. Le cinte murarie cittadine europee tra storia e conservazione", a cura di Angelo Varni ed edito da Editrice Compositori sono raccolti gli atti di questo convegno, distribuiti in tre diverse sezioni: "Cento anni dopo l’abbattimento delle mura di Bologna", che comprende specificamente gli atti sulla distruzione delle mura che cingevano Bologna; "Il mondo chiuso. Italia ed Europa", che raccoglie i saggi dedicati alla situazione nelle altre città italiane ed europee; "Le mura d’Europa fuori d’Europa", che si occupa delle opere murarie presenti nelle colonie europee.
Le motivazioni che condussero, a Bologna come in molti altri centri urbani, alla demolizione della cinta muraria furono diverse. Innanzitutto, le mura erano viste come un ostacolo alla modernizzazione e all’espansione della città. Sul modello della Francia, si voleva allargare le strade e abbattere i vecchi quartieri, per lasciare il posto a grandi piazze e ai boulevard, in modo da ottenere lo spazio necessario ad una popolazione in continua crescita. A ciò si aggiunse la necessità di occupare un’ampia schiera di muratori, rimasti senza lavoro a causa della difficile situazione economica.
Nel caso di Bologna, a queste motivazioni se ne aggiunsero altre, legate soprattutto a questioni di igiene pubblica. Si pensava, infatti, che la presenza delle mura impedisse l’aerazione e fosse responsabile delle malattie più diffuse. L’abbattimento della cinta muraria, secondo i ‘demolizionisti’, avrebbe garantito migliori condizioni igieniche e sanitarie nelle case che si trovavano al suo interno. Questa tesi venne confutata da coloro che si opponevano all’abbattimento, fra cui Alfonso Rubbiani, restauratore dei monumenti bolognesi.
Secondo i conservatori, le mura non rappresentavano una minaccia per la salute e la loro presunta insalubrità era solo un pretesto, visto che il Comune non aveva fatto nulla per risolvere problemi ben più gravi come la presenza di una pescheria proprio all’ombra delle due Torri o le esalazioni dei pozzi neri adiacenti alle cucine.
Oltre al Rubbiani, si schierarono in difesa delle mura anche lo scrittore e artista Alfredo Baruffi e Alfredo Oriani, che consideravano la cinta muraria come un’opera d’arte e d’ingegno di cui non ci si poteva privare. Tuttavia, non tutti gli intellettuali la pensavano allo stesso modo: essi erano ugualmente ripartiti su entrambi i fronti. Fra i demolitori, oltre ai progressisti e agli innovatori a tutti i costi, vi erano anche molti speculatori immobiliari, e, probabilmente, la maggior parte dei cittadini comuni, che però rimasero esclusi dal dibattito.