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Nella sabbia di Panarea indizi sull'evoluzione della Terra e sulla presenza di acqua su Marte

Il processo di formazione di particolari granelli ricchi di sostanze ferrose getta nuova luce su alcune delle fasi evolutive del nostro pianeta in epoca primordiale e fa pensare alla possibile presenza di acqua, in epoche remote, sulla superficie del Pianeta Rosso

Panarea
La sabbia idrotermale oggetto dello studio è stata rinvenuta al largo dell'isola vulcanica di Panarea (Foto: Giuseppe Murabito / Unsplash)


Piccoli granelli di sabbia possono custodire segreti sull’evoluzione di interi pianeti. È il caso della sabbia idrotermale che si trova sui fondali di Panarea: grani di dimensione millimetrica, chiamati “ooidi”, che al contrario di quanto accade comunemente hanno la particolarità di essere ricchi di sostanze ferrose.

Una caratteristica, questa, che ha attirato l’attenzione degli studiosi e che ora, con una ricerca pubblicata su Scientific Reports, ha portato a rivelare non solo nuovi indizi sull’evoluzione della Terra nelle sue fasi primordiali, ma anche indicazioni sulla possibile presenza di acqua in tempi remoti sulla superficie di Marte.

OOIDI DI FERRO
Tutto comincia sui fondali marini al largo dell’isola vulcanica di Panarea. Qui, a circa 80 metri di profondità, è stata trovata una rara tipologia di sabbia idrotermale composta di ooidi di ferro: concrezioni minerali formate da un nucleo centrale ricoperto da finissime laminazioni concentriche di idrossido di ferro.

“Si tratta di ooidi molto particolari – spiega la ricercatrice dell’Università di Bologna Barbara Cavalazzi che ha collaborato allo studio – poiché mentre generalmente oggi, ma anche in un passato geologico vicino a noi, gli ooidi sono tipicamente composti da laminazioni di carbonato di calcio, in questo caso si tratta di ooidi dominati da sostanze ferrose”.
Particolare degli ooidi di ferro rinvenuti a Panarea
Particolare degli ooidi di ferro rinvenuti nei fondali di Panarea


INDIZI SULL’EVOLUZIONE DEL PIANETA
Non si tratta però di una semplice rarità. La particolare composizione di questi piccoli granelli è infatti del tutto simile a quella di alcune formazioni geologiche terrestri note come Banded Iron Formations, risalenti ad oltre 3 miliardi di anni fa. Capire come si formano questi ooidi di ferro significa quindi gettare nuova luce su alcune delle fasi evolutive del nostro pianeta in epoca primordiale.

“Alla base della formazione di queste microstrutture sferiche – dice ancora Barbara Cavalazzi – ci sono particolari processi esalativi sottomarini nelle aree vulcanicamente attive di Panarea che producono emissioni idrotermali di fluidi ricchi di anidride carbonica e di ferro in soluzione”. Non a caso ambienti idrotermali come quello di Panarea sono ritenuti oggi habitat preziosi nei quali la vita potrebbe essersi sviluppata già 3,5 miliardi di anni fa.

ACQUA SU MARTE?
Ma non è tutto: la sabbia idrotermale studiata dai ricercatori non ci parla solo dell’evoluzione del nostro pianeta, ma offre indizi anche sulla possibile presenza di acqua, in epoche remote, sulla superficie di Marte.

In moltissime immagini ad alta risoluzione della superficie marziana raccolte dai rover della NASA sono state infatti riconosciute particelle sferiche di ossido di ferro del tutto simili agli ooidi trovati sui fondali di Panarea. Una coincidenza che fa pensare a processi di formazione simili e di conseguenza alla presenza in passato di acqua, e quindi anche di vita, sul Pianeta Rosso.

“La presenza su Marte di microstrutture sferiche simili agli ooidi ferrosi oggetto del nostro studio – conferma Barbara Cavalazzi – ci fa pensare che gli ooidi marziani potrebbero essersi formati attraverso meccanismi simili. Questo potrebbe confermare la presenza in antichità di acqua liquida e di un’intensa attività idrotermale sulla superficie di Marte”.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, con il titolo “Modern Iron Ooids of Hydrothermal Origin as a Proxy for Ancient Deposits”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Barbara Cavalazzi e Roberto Barbieri del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali.

La ricerca è stata coordinata da Marcella Di Bella e Francesco Italiano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Sezione di Palermo. Hanno partecipato inoltre ricercatori del Dipartimento di Scienze Matematiche e Informatiche, Scienze Fisiche e Scienze della Terra (MIFT) dell'Università di Messina, del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia (DSCG) e del Centre de Biophysique Moléculaire (CBM) di Orléans (Francia).