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Dai campi alle multinazionali: il segreto del successo della Biomedical Valley di Mirandola

Un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna ha ricostruito la straordinaria vicenda imprenditoriale che in pochi decenni ha trasformato l’area mirandolese: dagli inizi casalinghi del capostipite, Mario Veronesi, alla genealogia delle numerose imprese sorte sempre seguendo principi e regole decisionali comuni


Sterilplast, primo laboratorio biochimico di Mirandola, dove è nato il primo rene artificiale italiano


Da piccola cittadina della provincia emiliana, con un’economia prevalentemente agricola, a cuore della Italian Biomedical Valley, con più di centro aziende specializzate e un giro d’affari che arriva a 1,5 miliardi di euro. È l’incredibile trasformazione avvenuta nel giro di appena sessant’anni nell’area di Mirandola, in provincia di Modena. Ma come è potuto succedere? Quali sono stati i fattori decisivi che hanno dato vita a questo straordinario caso di successo?

La risposta arriva ora in uno studio pubblicato su Research Policy, una delle riviste di politica industriale più prestigiose al mondo, e firmato da un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna. Un lavoro durato cinque anni, tra centinaia di ore di interviste e analisi di fonti d’archivio, che ha permesso di realizzare una meticolosa ricostruzione storica delle dinamiche imprenditoriali che hanno interessato Mirandola dal 1960 ai primi anni 2000.

“Considerando l’assenza di materie prime, centri di ricerca ed eccellenze produttive locali, Mirandola rappresenta un vero e proprio enigma per chi si occupa di origine e sviluppo di settori industriali”, spiega Simone Ferriani, professore dell’Università di Bologna che ha guidato il gruppo di ricerca. “Con questa indagine siamo riusciti a mettere in luce alcuni fatti distintivi che hanno catalizzato la nascita della Biomedical Valley mirandolese”.

Una storia che si intreccia a doppio filo con le straordinarie vicissitudini umane e imprenditoriali di un innovatore improbabile: Mario Veronesi, un farmacista locale che a poco più di trent'anni decise di avviare una piccola attività produttiva di tubicini in plastica usa e getta da impiegare per la dialisi nei pazienti affetti da insufficienza renale. Un’azienda casalinga, avviata nel garage di famiglia, che però si allarga rapidamente, fino ad evolvere nella produzione di un dispositivo completo per la dialisi. È così che nasce il primo rene artificiale realizzato in Italia: una macchina destinata a trasformare radicalmente la vita di migliaia di pazienti affetti da uremia acuta.


Un’avventura imprenditoriale, quella di Veronesi, guidata da una straordinaria energia e da una grande capacità di adattamento, che i ricercatori dell’Alma Mater hanno ricostruito nel dettaglio. Non avendo apparecchiature appropriate per sterilizzare i primi tubicini di plastica per la dialisi, ad esempio, Mario Veronesi e il suo team riadattarono un’autoclave in origine utilizzata per la tostatura delle mortadelle che era stata dismessa dal macellaio locale. Mente i primi kit medicali venivano sterilizzati riciclando l’ossido di etilene che all’epoca era usato per la disinfestazione dei frutteti della zona.

Il grande lavoro di Veronesi non può essere però l’unico responsabile dell’enorme sviluppo della Biomedical Valley di Mirandola. “Veronesi ha avuto ovviamente un ruolo centrale, iniettando nel territorio visione, energia e un ineguagliabile senso di possibilità, ma sono soprattutto gli effetti a cascata che più o meno inconsciamente ha saputo innescare ad essersi rivelati decisivi”, spiega il professor Gianni Lorenzoni, co-autore dello studio. “Veronesi diventa una forza trainante, quello che in gergo viene chiamato ‘imprenditore ancora’: una figura che ispira, educa e motiva i suoi collaboratori, convincendoli a prendere iniziativa, a mettersi in proprio e a sviluppare nuovi prodotti, sempre a partire dall’ascolto attento dei bisogni dei medici”.

Dalla vicenda originaria di Veronesi, gli studiosi sono allora passati a tracciare la traiettoria professionale dei suoi più stretti collaboratori, rivelando una straordinaria genealogia di imprese che si è sviluppata nell’arco di un trentennio, tutte nate per emulazione o spinta del capostipite. Un impulso che si protrae per generazioni successive di imprenditori, attraverso il rimanifestarsi, anche a distanza di decenni, di principi e regole decisionali sempre riconducibili a Mario Veronesi.

Tra queste, c'è innanzitutto la regola aurea di interloquire quasi ossessivamente con i medici, ascoltandone i problemi per arrivare a "cucirgli addosso" le soluzioni di cui hanno bisogno. Oppure l’idea di creare imprese con l’obiettivo dichiarato di venderle a grandi multinazionali dopo qualche anno di sviluppo, per facilitarne l’ascesa su mercati internazionali che sono altamente regolamentati. O ancora il principio per cui i collaboratori più bravi devono essere incoraggiati a “staccarsi dalla chioccia” e creare le proprie imprese.

“Tracce di questi principi sono rinvenibili con continuità nella narrativa imprenditoriale di Mirandola e sono divenuti parte integrante del modo mirandolese di fare e concepire impresa”, spiega il terzo co-autore dello studio, Mark Lazerson. “Quello che siamo arrivati a tracciare è il ritratto di un paese di provincia che in un lasso di tempo relativamente breve ha trovato, nel solco tracciato dall’impeto creativo di un proprio cittadino, un modo per reinventarsi completamente, muovendosi da una cultura produttiva prettamente agricola ad una tecnologica-industriale”. Uno sviluppo che nel giro di pochi decenni ha portato l’area di Mirandola sul radar delle grandi imprese internazionali, le quali hanno risposto a questo segnale con forti investimenti sul territorio in termini di persone, competenze e tecnologia.