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Test sierologici più efficienti grazie ad uno studio a guida Unibo

Una tecnica innovativa di elettrochemiluminescenza (ECL) permette di ottenere esami – compresi quelli per il coronavirus SARS-CoV-2 – più veloci, economici e con livelli di sensibilità molto maggiori di quelli attuali


La soluzione individuata potrà essere utilizzata anche per i test sierologici sul coronavirus


Un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna ha individuato un nuovo meccanismo che permette di ottenere test sierologici più veloci, economici e con livelli di sensibilità molto maggiori di quelli attuali. La novità – basata sulla tecnica dell’elettrochemiluminescenza (ECL) – è applicabile anche ai test sierologici pensati per individuare la presenza di anticorpi contro il coronavirus SARS-CoV-2. Ed è destinata ad avere un’applicazione industriale, anche grazie al coinvolgimento nello studio di due aziende leader nel settore della diagnostica e delle tecnologie: la tedesca Roche Diagnostic e la giapponese Hitachi High Tech.

Lo studio – pubblicato sulla rivista Nature Communications – mostra come, grazie all’utilizzo di reagenti ad alta efficienza, sia possibile ottenere test sierologici con livelli di sensibilità fino al 128% più altirispetto a quelli attualmente in uso.

“I risultati che abbiamo ottenuto permettono di stabilire un nuovo stato dell’arte nell’amplificazione del segnale per i test immunologici basati sulla ECL”, spiega Francesco Paolucci, professore dell’Università di Bologna che ha guidato il gruppo di ricerca. “Un traguardo a cui siamo arrivati dopo anni di studi a livello internazionale nel campo dell’elettrochimica e grazie ad una stretta sinergia con il settore della ricerca industriale”.

I test sierologici si basano sulla capacità di tradurre in segnali misurabili e visibili le interazioni tra alcune molecole e gli anticorpi specifici che si vuole quantificare. Un meccanismo nel quale può avere un ruolo di primo piano l’ECL, che si basa sulla generazione di un segnale luminoso misurabile a partire da uno stimolo elettrochimico. In questo caso, quindi, l’elettrochemiluminescenza permette di “accendere” gli anticorpi da trovare come fossero lampadine.

Un limite di questo meccanismo risiede però nel fatto che nel sangue umano le molecole necessarie per avviare il processo sono presenti in concentrazioni molto basse: servono quindi tecniche altamente sensibili per individuare la presenza degli anticorpi. E i nuovi risultati ottenuti dagli studiosi vanno proprio in questa direzione.

Lo studio è stato realizzato da un team di ricerca a guida Unibo


“Il nostro lavoro mostra un approccio radicalmente nuovo nel campo della ECL, basato sull’amplificazione del segnale e non sull’amplificazione del target come avviene comunemente nelle tecniche enzimatiche o PCR (Polymerase Chain Reaction)”, spiega Giovanni Valenti, ricercatore dell’Università di Bologna e coordinatore dello studio. “Sono risultati che aprono la strada allo sviluppo di test sierologici ad altissima sensibilità”.

I risultati ottenuti dai ricercatori, infatti, non hanno solo permesso di perfezionare i meccanismi alla base delle analisi che utilizzano l’ECL, ma sono stati utilizzati anche per lo sviluppo di nuovi reagenti che permettono di ottenere test sierologici molto più efficienti.

“A partire dai dati ottenuti siamo riusciti ad individuare reagenti altamente efficienti, che permettono di portare i livelli di sensibilità di questa tecnica ben oltre a quelli dei test attualmente in uso”, conferma Alessandra Zanut, ricercatrice dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio. “Utilizzando questo nuovo approccio abbiamo ottenuto segnali di ECL fino al 128% più alti rispetto alle tecniche attuali”.

Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications con il titolo “Insights into the mechanism of coreactant electrochemiluminescence facilitating enhanced bioanalytical performance” ed è stato sviluppato da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna.

Coordinatori della ricerca sono Francesco Paolucci e Giovanni Valenti, in collaborazione con Fabrizia Negri. Per l’Università di Bologna hanno partecipato anche Alessandra ZanutAndrea FioraniSofia CanolaStefania RapinoSara Rebeccari Massimo Marcaccio. Hanno collaborato inoltre ricercatori dell’Università di Padova, di Roche Diagnostic e di Hitachi High Tech.