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Un “orologio infiammatorio” per invecchiare in salute

L’inflammaging, uno stato di infiammazione cronica a bassa intensità, è tra i principali fattori di rischio per le malattie legate all’invecchiamento. Riuscire a misurarlo potrebbe aiutare i medici a garantire trattamenti personalizzati di cura e prevenzione. Ne parliamo con Aurelia Santoro, professoressa al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna


Aurelia Santoro, professoressa al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche


Quando si parla di invecchiamento, e di invecchiamento in salute, c’è una parola che si sente sempre più spesso: inflammaging. Il termine – che unisce “infiammazione” (“inflammation”) e “invecchiamento” (“aging”) – è nato venticinque anni fa all’Università di Bologna, grazie a una serie di studi pionieristici sui centenari realizzati da Claudio Franceschi, oggi professore emerito dell’Alma Mater.

Da allora, la ricerca sull’inflammaging si è diffusa in tutto il mondo e il tema dell’infiammazione cronica è diventato centrale per monitorare e migliorare lo stato di salute delle persone anziane. Uno studio pubblicato su Nature Aging fa ora punto su questo campo di indagine, con consigli sulle strategie migliori per ridurre l’inflammaging e un nuovo obiettivo: arrivare a un metodo semplice ed economico per misurare l’”età infiammatoria”.

UniboMagazine ne ha parlato con Aurelia Santoro, professoressa al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, che ha firmato lo studio insieme a Claudio Franceschi e altri autori (Fabiola Olivieri, Alexey Moskalev e Mikhail Ivanchenko).

Professoressa Santoro, cominciamo dalle basi: cos’è l’inflammaging?
L'infammaging è uno stato di infiammazione cronica, a bassa intensità e sterile. Non è quindi la normale risposta infiammatoria che il nostro organismo attiva quando ci sono delle infezioni, ma una condizione di infiammazione diffusa e di basso grado. Oggi sappiamo che questa condizione è profondamente coinvolta nell'invecchiamento ed è uno dei principali fattori di rischio per le malattie legate all'avanzare dell’età, come l'Alzheimer, il diabete di tipo 2, le patologie cardiovascolari e i tumori.

Quando inizia a emergere questa infiammazione cronica?
È un processo che ci accompagna per tutta la vita. Inizia già in utero e può essere condizionato dai comportamenti e stili di vita delle madri durante la gravidanza. Poi continua durante l’infanzia, l’età adulta e fino alla vecchiaia. Per questo è importante sottolineare che l’inflammaging non è di per sé un elemento negativo, anzi se tenuto sotto controllo aiuta a mantenere l’organismo in salute.

In che modo?
Questo stato di infiammazione debole e diffusa innesca una risposta antinfiammatoria che può contribuire a irrobustire l'organismo e ci aiuta quindi a reagire in modo più efficace ai problemi che si accumulano con l'età. Il fenomeno è stato osservato negli studi pionieristici sui centenari realizzati dal gruppo di ricerca del professor Claudio Franceschi. Si è visto che i centenari arrivano ai limiti estremi della vita grazie alla presenza di deboli livelli di infiammazione che attivano una risposta antinfiammatoria capace di contrastare le patologie tipiche dell'invecchiamento.

Cosa possiamo fare allora per tenere sotto controllo l’inflammaging?
I livelli di inflammaging dipendono dall’interazione di molti fattori. Tra questi, c’è sicuramente l’alimentazione: si è visto che il consumo di cibi processati, ricchi di zuccheri o acidi grassi saturi, favorisce l’aumento dell’infiammazione, mentre ad esempio la dieta mediterranea permette di mantenere in equilibrio inflammaging e risposta antinfiammatoria. Ma sono importanti anche un’attività fisica frequente e moderata, per superare la sedentarietà, e il sonno: dormire bene aiuta l’organismo a rimuovere le “molecole spazzatura” che vengono prodotte dal normale metabolismo delle cellule. Poi ci sono anche altri fattori di contesto, altrettanto importanti, da considerare.

Ad esempio?
Ci sono differenze tra uomini e donne: gli uomini tendono ad avere livelli infiammatori più alti, mentre le donne vivono più a lungo ma con una salute più precaria in età avanzata. Inoltre, lo status socioeconomico può avere un ruolo importante: chi vive in condizioni sociali e ambientali più povere e svantaggiate tende ad avere livelli più alti di inflammaging. E in senso ancora più ampio, ci sono differenze a livello etnico e geografico: ad esempio sono venute alla luce dinamiche di inflammaging diverse nel confronto tra popolazioni del Brasile, della Jacuzia, della Bolivia e della Malesia.

Ma come si fa a misurare l’inflammaging?
Questa è la principale sfida che abbiamo davanti: l’obiettivo è creare un “orologio infiammatorio”. Mettendo insieme una serie di parametri legati alla presenza di infiammazione con alcune metriche elaborate da sistemi di intelligenza artificiale spiegabile, è possibile misurare l’età infiammatoria dell’individuo, che è diversa dall’età cronologica. Conoscere questa età infiammatoria può aiutare il medico a indicare le strategie più efficaci di cura e prevenzione per favorire un invecchiamento in salute.

E quando bisognerebbe iniziare a misurare l’età infiammatoria?
L’ideale sarebbe iniziare già in giovane età, in modo da tenere sempre sotto controllo l’inflammaging. Tutti invecchiamo, ma ogni persona invecchia in modo diverso e come abbiamo visto ci sono molti fattori che influenzano i livelli di infiammazione cronica. Per questo gli orologi infiammatori diventano importanti: potrebbero permettere di valutare in modo rapido ed economico lo stato dell’inflammaging e garantire così trattamenti mirati e personalizzati.