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Ischia nell'antichità era una comunità cosmopolita

Grazie all’analisi isotopica di ossa e denti di oltre 50 individui, uno studio rivela che nell’VIII secolo a.C. la comunità dell’isola era formata da immigrati greci, fenici e italici (con una presenza importante di donne, anch'esse immigrate)


La Coppa di Nestore, ritrovata in una delle sepolture più iconiche di Pithekoussai


Nell'VIII secolo a.C. l'isola vulcanica di Ischia vede il primo insediamento greco nel Mediterraneo occidentale e diventa un centro di convivenza tra comunità locali, greci e fenici. A rivelarlo è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica iScience e firmato da un team internazionale di ricerca, che ha analizzato i resti umani della necropoli di Pithekoussai (a Ischia) dimostrando la complessità delle interazioni culturali e biologiche in questo sito chiave per lo studio della nascita della Magna Grecia.

"L’integrazione tra dati archeologici, antropologici e biogeochimici ha permesso di ricostruire gli spostamenti e le interazioni tra le genti che popolavano l’isola di Ischia con un livello di dettaglio mai raggiunto prima", spiega Carmen Esposito, coautrice dello studio e Marie Skłodowska-Curie Actions Research Fellow al Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna. "Questi risultati confermano l'immagine di un Mediterraneo di dialogo e mobilità durante il I millennio a.C."

Carmen Esposito, ricercatrice all'Università di Bologna e coautrice dello studio


Il patrimonio archeologico di Ischia offre una visione unica delle dinamiche della mobilità umana e delle interazioni bioculturali agli albori della Magna Grecia durante il Mediterraneo dell’Età del Ferro (tra l’VIII e il VII secolo a.C.). Lo studio si basa sull’analisi degli isotopi dello stronzio di denti e ossa di individui sepolti nella necropoli di Pithekoussai, molti dei quali sono stati identificati come immigrati fin dai tempi più antichi.

"Grazie all’analisi del rapporto isotopico dello stronzio (87Sr/86Sr) in campioni di tessuto mineralizzato di ossa e denti da più di 50 individui, sia inumati sia cremati, il nostro studio ha identificato un’importante componente di stranieri a Pithekoussai, rivelando una società fortemente eterogenea in cui i nuovi arrivati – greci, fenici, italici – convivevano e interagivano, contribuendo alla formazione di un’identità sociale sfaccettata e cosmopolita", aggiunge Melania Gigante, prima autrice dello studio e docente al Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova.

Contrariamente a quanto ci si aspettasse, i dati dimostrano inoltre che la mobilità femminile – non solo quella di coloni maschi e mercanti, dunque – fu un elemento strutturale nella costruzione della comunità di Pithekoussai.

Uno degli aspetti più significativi della ricerca riguarda la celebre Tomba della Coppa di Nestore, una delle sepolture più iconiche di Pithekoussai e dell’archeologia del Mediterraneo, datata alla seconda metà dell’VIII secolo a.C. La tomba è nota per la presenza di una coppa che reca una delle più antiche iscrizioni in alfabeto greco ad oggi conosciute, evocando il leggendario calice dell’eroe omerico Nestore.

Per decenni, il significato dell’iscrizione e l’identità del defunto sono stati oggetto di dibattito. Uno studio precedente aveva già dimostrato che la sepoltura conteneva resti umani e faunistici, smentendo l’ipotesi che si trattasse di un bambino cremato: ora, grazie all’analisi isotopica, gli studiosi hanno stabilito che almeno uno degli individui sepolti accanto alla preziosa coppa era nato localmente.

"Quanto pubblicato ben rappresenta lo stato attuale della ricerca avanzata in bioarcheologia ove si utilizzano le tecniche più all’avanguardia che aprono orizzonti di conoscenza sul passato fino a poco tempo fa inimmaginabili", commenta Alessia Nava, antropologa a La Sapienza Università di Roma, docente al Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo Facciali e coautrice dello studio.

La ricerca rappresenta la prima evidenza diretta, basata sulla storia dei singoli individui, che conferma la ricostruzione storico-archeologica della colonizzazione greca dell’VIII secolo a.C. e l’approccio interdisciplinare adottato offre un nuovo sguardo su una fase cruciale della storia mediterranea aprendo la strada a futuri studi sulle dinamiche della mobilità e dell’integrazione culturale nell’antichità.

Alla ricerca hanno collaborato: l’Università di Bologna (Carmen Esposito), l’Università di Modena e Reggio Emilia (Federico Lugli), il Museo delle Civiltà di Roma (Alessandra Sperduti), il Ministero della Cultura (Segretariato Regionale per la Campania, Teresa E. Cinquantaquattro), l’Università L’Orientale di Napoli (Bruno d’Agostino), la Sapienza Università di Roma (Alessia Nava) e la Goethe Universität Frankfurt (Wolfgang Müller).