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L'affaire Mortara

dal 27 al 28 Gennaio 2004

Teatro Dehon

Un fatto di cronaca poi diventato un caso giuridico, religioso e politico: questo è l'affaire Mortara, lo spunto per la rappresentazione teatrale che sarà messa in scena in prima nazionale sul palco del Teatro Dehon.

Massimo Manini e la compagnia Piccoli Trasporti Teatrali portano in scena L’affaire Mortara, che è inserito in VivaBologna, il cartellone di eventi culturali del Comune di Bologna. Lo spettacolo, in prima nazionale al Teatro Dehon di Bologna martedì 27 e mercoledì 28 gennaio alle ore 21, è scritto, diretto e interpretato da Massimo Manini insieme alle attrici-musiciste Francesca Bianchi, Giovanna Gagliardini, Francesca Petralito. L’affaire Mortara racconta una vicenda vera, un fatto di cronaca avvenuto a Bologna il 23 giugno 1858 e diventato poi un “caso” giuridico, religioso, politico. È la storia di un bambino ebreo, Edgardo Mortara, strappato alla famiglia dalle leggi del tempo e per volontà di Papa Pio IX in seguito a un presunto battesimo, compiuto segretamente da una giovane domestica con l’intenzione di salvare il piccolo da una grave malattia. Per la Chiesa è intollerabile che un bambino, ormai cristiano, possa continuare a vivere ebraicamente e quindi ordina alla polizia pontificia di sottrarlo alla famiglia e di trasferirlo a Roma, nella Casa dei Catecumeni, per iniziarlo all’educazione cattolica. Comincia così un disperato dramma umano che vede la famiglia Mortara consumarsi moralmente, fisicamente, economicamente nei vani e ripetuti tentativi di riavere il proprio figlio, in una lotta impari con il potere temporale della Chiesa. La vicenda viene poi complicata dalla morte di una domestica di casa, una nuova disgrazia che porta i Mortara in tribunale e li rende protagonisti di un processo quasi kafkiano. Il processo assolve i Mortara, il “caso” viene chiuso, ma i segni dell’ingiustizia, dell’ignoranza e dei pregiudizi dell’epoca restano indelebili su Edgardo e sulla sua famiglia. Lo spettacolo racconta tutta la storia, dall’inizio alla fine, ma soprattutto ruota attorno al processo e alla figura dell’avvocato Mancini, difensore dei Mortara; collegando la vicenda di Edgardo e della sua famiglia alla situazione storica, politica e religiosa del tempo. Il risultato è un’indagine, nel senso poliziesco dell’investigazione, che rimanda all’affaire Dreyfus, poiché tenta di ricostruire “il caso Mortara” reperendo i tasselli mancanti, ricostruendo il puzzle di una storia molto più complessa e articolata di quanto appaia a prima vista. In scena tre donne aleggiano attorno all’avvocato: Marianna, la madre di Edgardo, Anna Morisi la prima domestica e Rosa Tognazzi, la seconda. Impercettibili agli occhi di Mancini, si muovono attorno a lui come le figure femminili uscite dal Compianto sul Cristo morto di Niccolò Dall’Arca, in Santa Maria della Vita a Bologna, accudendolo a sua insaputa, come un figlio, che per ragioni diverse a ognuna di loro è mancato. E proprio a segnalare la presenza di quel figlio assente che è Edgardo, incombe sulla scena un enorme Sevivon, la trottola con la quale i bambini ebrei giocano durante la festa di Chanukkà (festa delle luci). E con la quale l’avvocato nell’esporre le proprie tesi “gioca” trasformandola continuamente, come il piccolo Edgardo avrebbe fatto se solo avesse potuto. Ma a sua insaputa anche Mancini viene indagato da questo lavoro teatrale, condotto principalmente come un’indagine su una figura che la Storia ha voluto cautamente allontanare da qualsiasi collegamento storico, politico e religioso. Dell’arringa del determinato avvocato rimane solo un monito, rivolto a una mentalità retrograda, che può appartenere sia alla ragione religiosa sia a quella politica, senza puntare il dito contro questa o quella: “È giunto il momento di cominciare a credere nella volontà degli uomini che vogliono mutare i tempi; qualunque sia il verdetto; non solo di questo, ma di qualsiasi altro processo, di qualsiasi altro governo!”. L’affaire Mortara ha il patrocinio del Comune di Bologna. Debutta nel Giorno della Memoria ebraica, non per schierarsi con una delle parti, ma perché il 27 gennaio è una data simbolica, per gli ebrei e per tutti coloro che non vogliono dimenticare. È uno spettacolo di impegno civile, di denuncia di una mentalità che forse ancora ci appartiene e soprattutto un’occasione per riflettere. Perché “la memoria procura un dolore che può essere trasformato in gioia, se non si ha paura di confrontarla con la verità”.

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