Il servizio che permette di segnalare a UniboMagazine e alla Newsletter UniboCultura le iniziative culturali organizzate dall'Università di Bologna.
26 Maggio 2006
Palazzo strocchi - Ravenna
Si è tenuta il 19 maggio la prima lezione magistrale pubblica di Timothy Verdon proposta dal Corso di Alta Formazione in "Arte, architettura e liturgia: il progetto degli edifici sacri" istituito dalla Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio dell'Università di Bologna e dal Master in "Adeguamento, progettazione e riprogettazione di chiese" promosso dalla Facoltà di Architettura "Valle Giulia" e dalla Conferenza Episcopale Italiana. Il relatore è intervenuto sul tema "Ravenna e l'arte cristiana nei secoli", tema non nuovo per Ravenna e per gli appassionati della nostra arte. Verdon ha parlato con un linguaggio appassionato e poetico di come l’arte cristiana ravennate – a differenza di quanto accadeva nei medesimi decenni in altre parti d’Italia - abbia per prima tentato di esprimere visivamente nei suoi mosaici una lettura simbolica del Mistero cristiano, coniugandola con una rappresentazione figurativa dello stesso. E così mentre scorrevano davanti agli occhi dei presenti immagini di arte ravennate - il Buon Pastore, Teodora o Giustiniano comparate con altre forma espressive di simili soggetti religiosi - pareva che quelle figure, pure a noi familiari, prendessero forma e vita per raccontare da sé di se stesse, e del significato che in quel contesto temporale assumevano e del senso del loro gesto racchiuso da secoli nelle tessere del mosaico. Gesto comunque vivo e capace di parlare a menti e cuori aperti anche in quel momento. E poi i simboli, linguaggio nuovo per descrivere il sacro e il mistero, di solito così ermetici e difficili da leggere, assumevano trasparenza e vivacità nel parlare fluente e limpido di Verdon. Si è assistito in quella lezione a qualcosa di simile al sorgere della luce: man mano che progrediva l’esposizione, diventava sempre più luminoso il cammino che l’arte aveva percorso nei primi secoli, per regalarci non solo opere ammirevoli e sublimi, ma anche per insegnarci come occorra osare oggi il nuovo, l’inedito per essere capaci di raccontare qualcosa che non è immediatamente raggiungibile se non attraverso mediazioni linguistiche che traducono semantiche oggi comprensibili. Il che non equivale a dire semplicemente che si comincia da capo, ma che forse è bene tornare "a capo", cioè all’inizio, per imparare l’arte di esprimere con "arte" (cioè con poetica, con trasporto, con esplosiva creatività) il sacro, un mistero che passato non è e che, al contrario, si ripresenta in ogni oggi della storia con la stessa freschezza dell’inizio, come se fosse appena successo in questo momento. Timothy Verdon tutto questo ce lo ha comunicato in modo instancabile, facendo abitare i presenti proprio in quell’oggi di sempre che l’arte cristiana ha saputo fermare e consegnare intatto a noi. L’influsso di quel modo di esprimersi, della novità del linguaggio simbolico coniugato con quello narrativo (rappresentare le scene quasi come storicamente sono avvenute) ha influito sugli ambienti circostanti Ravenna e i secoli seguenti. Ma se allora, al momento in cui quell’arte si esprimeva, lo spazio sacro e quello profano potevano trovare un ambiente culturale nel quale convivere uno dentro l’altro, il trascorrere del tempo e l’evolversi della cultura hanno fatto nascere la domanda sull’esistenza stessa del sacro. Domanda che l’Ottocento, con i movimenti filosofico-culturali legati all’illuminismo ha radicalizzato e in certi casi risolto a favore della sua inesistenza. In tempi più recenti il fenomeno della secolarizzazione che ha investito la teologia e il pensiero filosofico ha posto il medesimo quesito, e cioè se esista nel cristianesimo l’idea di uno spazio sacro. Ci si è chiesti, cioè, se sia possibile parlare legittimamente, all’interno della fede cristiana e della lettura cristiana del tempo, della storia e del mondo, di delimitazioni spaziali nelle quali ravvisarne la presenza. Introdotto da Carlo Chenis, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, il teologo benedettino Elmar Salmann parlerà proprio di quel tema, offrendo piste di risposta alle molteplici domande che il desiderio dell’uomo sente da sempre: fissare luoghi in cui incontrare il sacro, il divino, dove questo possa essere in qualche modo tangibile, sia con le mani che con il cuore. Elmar Salmann (1948) ha compiuto studi di filosofia, lettere e teologia a Paderborn, Vienna e Münster. Divenuto monaco benedettino nel 1973, insegna dal 1981 teologia e filosofia presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo e l'Università Gregoriana di Roma. L’appuntamento è per il 26 maggio (ore 17.00), a Ravenna, Palazzo Strocchi, Via degli Ariani, 1 - Sala conferenze. Elmar Salmann "Esiste la sacralità dello spazio nel cristianesimo?".