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Il futuro del nostro passato: i beni culturali in Italia

16 Maggio 2007

Aula Barilla (Economia) Piazza Scaravilli, ore 21

L'incontro del ciclo di conferenze pubbliche dei "Mercoledì in Università", promosso dal Centro San Domenico e dal Centro Universitario Cattolico "San Sigismondo", avrà come ospiti Philippe Daverio, Luca Zan, Chiara Sirk.

Nell’ultimo decennio sono nati molti corsi di laurea dedicati al tema della gestione, cura e amministrazione dei beni culturali (facoltà di architettura, economia e economica aziendale, lettere…) e di conseguenza sono nate nuove professionalità specializzate nella cura del ricchissimo patrimonio artistico e culturale nazionale. Obiettivo della conferenza è di riflettere sul futuro/destino del nostro patrimonio artistico e sulle possibilità/opportunità in questo settore. In particolare parlare di beni culturali risulta essere di grande attualità proprio perché "non c'è nulla che dia la misura dello stato di salute di una società quanto il rapporto che essa riesce ad avere coi propri monumenti e col proprio paesaggio" ovvero con la propria storia e con l’ambiente in cui si vive. Attualmente a seguito di alcune riforme legislative e di "particolari" approcci gestionali "l'eredità culturale dell'Italia è degradata a mero valore economico, a una risorsa di cui ci si può disfare a piacimento" (S.Settis). Può essere interessante avviare la discussione prendendo come punto di partenza due diffusi luoghi comuni che descrivono in termini metaforici la situazione attuale del patrimonio culturale italiano. Secondo un primo luogo comune "l'Italia conserva il 40% del patrimonio artistico mondiale" la percentuale probabilmente è troppo alta, ma elemento importante su cui soffermarsi è che l’Italia è riuscita a tutelare il proprio patrimonio nei secoli grazie ad "una cultura della conservazione diffusa in tutta la Penisola che ha valorizzato i singoli monumenti, grandi e piccoli, come parte di un insieme incardinato nel territorio, di una rete ricca di significati identitari, nella quale il valore di ogni singolo monumento o oggetto d'arte risulta non dal suo isolamento, ma dal suo innestarsi in un vitale contesto". Il secondo luogo comune è quello dell’"arte petrolio d’Italia". Tale affermazione "trasmette una visione dei beni culturali come una risorsa di per sé passiva, anziché viva e pulsante parte della storia e dell'identità nazionale; come qualcosa che (proprio come un giacimento petrolifero) va sfruttato e spremuto fino all'osso; come una riserva di cui prevale il valore monetario; che non è fatta di uomini e di idee, ma di oggetti, ognuno col suo cartellino del prezzo. La secolare stratificazione di valori civili, culturali, istituzionali che aveva fatto del patrimonio culturale uno dei pilastri portanti di ciò che è l'Italia e che sono gli Italiani rischia cosí di essere sacrificata sull'altare del denaro (anche se ministri e governi continuano a richiamarsi, a parole, ad alti ideali). Il valore venale brucia e disperde il valore simbolico e metaforico accumulatosi nella memoria e nella storia".