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I magi tra Oriente e Occidente

Perchè i magi sono diventati così importanti nel nostro immaginario? Qual è il loro significato e quale la loro origine storica? Risponde a queste e altre domande Antonio Panaino, Preside della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, che anticipa per UniboMagazine i punti salienti della prolusione che terrà per l'inaugurazione dell'Anno Accademico dei Poli.  
Adorazione dei Magi di Albrecht Dürer Per sabato 24 gennaio 2004, nella sede di Ravenna dell’Università di Bologna, è prevista l’inaugurazione dell’anno accademico 2003/04 dei Poli. In quell’occasione, il prof. Antonio Panaino, Preside della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali e ordinario di Storia, religioni e filologia dell’Iran, terrà una prolusione sui Magi. Anticipando i contenuti della sua esposizione, lo stesso Panaino traccia per UniboMagazine le tappe salienti dell’immagine di questi famosi personaggi la cui storia naviga tra Oriente e Occidente.

I Magi tra Oriente e Occidente

 

L’immagine dei Magi è ben presente nel patrimonio culturale e religioso cristiano attraverso la narrazione di Matteo (II, 1-11), nella quale viene in breve narrata la ricerca (in alcuni frangenti avventurosa) del Salvatore da parte di un gruppo di sapienti venuti dall’Oriente. Intorno a tale passo evangelico si sono affastellate molte leggende, che, con il tempo, sono divenute patrimonio di una sorta di “sapere comune”. Tali magoi, infatti, vengono iconograficamente individuati come tre "re" o "sovrani", quando invece né del loro numero né del loro status sociale nulla si dice nel Vangelo. Non si dimenticherà, peraltro, il fatto che in alcune tradizioni cristiane orientali tali Magi divengono addirittura 12.

Ma quale significato può essere attribuito alla menzione di tali misteriori personaggi? Quale il loro ruolo e la loro identità? Per rispondere a queste domande dobbiamo fare un passo indietro e rammentare il fatto che il termine greco magos, così come la parola mageia, in origine non hanno nulla a che vedere con l’area semantica della "magia" e della "stregoneria"; si tratta, invece, di prestiti da una lingua iranica antica, verisimilmente dall’antico persiano (quello usato dai sovrani achemenidi nelle loro iscrizioni monumentali) o da un dialetto parzialmente simile (ovvero quello dei Medi, giacché Erodoto rammentava proprio il fatto che i Magi costituivano una delle tribù di questo popolo) in cui il tema nominale magu- designava un tipo di sacerdote, la cui presenza era assolutamente indispensabile per il corretto svolgimento dei riti e dei sacrifici. Lo stesso Platone (od un suo discepolo, dato che l’Alcibiade I è opera di dubbia attribuzione) considerava la mageia come una sorta di "cura degli dei" e non come una manifestazione di pseudo-religiosità volgare. Col tempo, però, tali termini, sempre più svincolati dal contesto strettamente iranico (e mazdaico-zoroastriano), hanno assunto anche un valore meno tecnico e specialistico, e si sono — per così dire — volgarizzati sino ad assumere una valenza certamente meno prestigiosa, più legata alla divinazione ed ella pratica “magica”, tanto positiva quanto negativa; non è quindi casuale il fatto che in tarda età ellenistica magos possa essere talora inteso come sinonimo di “caldeo” o di “astrologo/astronomo”. Ciò che però più colpisce sta nel fatto che, mentre l’Antico Testamento (nella versione greca dei Settanta) e gli Atti degli Apostoli fanno uso del termine magos secondo tale accezione decaduta e negativa (si pensi, e.g., alla figura di Simon Mago), nel Vangelo di Matteo, i Magi compaiono come dei sapienti degni di stima e di alta considerazione; ciò, probabilmente, poiché si sta facendo riferimento ad una tradizione religiosa rispettata, ovvero quella iranica-mazdaica, anch’essa in attesa della nascita del Salvatore.

Per meglio collocare tale particolarità, dobbiamo considerare alcuni aspetti storico-politici e storico-religiosi relativi al periodo tra I secolo avanti e I secolo dopo Cristo. Da un punto di vista religioso, gli Ebrei che avevano in Iran, sotto il dominio dei Parti, una grande comunità, dotata di forti privilegi e di notevole influenza politica, militare e diplomatica, ben conoscevano la cultura mazdaica e le tradizioni dei Magi. E' quindi probabile che almeno una componente colta del mondo giudaico fosse edotta della dottrina iranica del saoshyant, ovvero il “rigeneratore-salvatore" del mondo, che, nato da una vergine dal seme di Zoroastro, verrà a far risorgere l'umanità per guidarla nella battaglia finale contro le forze di Ahreman, il signore delle tenebre. Inoltre, il riferimento ai Magi, ovvero ai più importanti sacerdoti del mondo iranico-partico, chiaramente rievocava, in orecchie politicamente accorte, uno sguardo di simpatia verso gli unici veri nemici dei Romani, ossia proprio verso quei Parti che erano i soli a poter "liberare Israele" manu militari. Che una tale idea fosse deliberatamente presente nella volontà dell’evangelista è questione difficile da dirimere (tenuto conto che il passo, secondo alcuni filologi, potrebbe anche essere frutto di un’interpolazione posteriore), ma è certo che con i Magi si evocava un mondo politico-culturale — e non solamente religioso — proprio in una situazione di grande tensione geopolitica.

Da un punto di vista simbolico, non si può però evitare di notare che l'evocazione dei Magi ebbe inoltre un grande significato spirituale, soprattutto per l’universalismo cristiano, giacché indicava come il messaggio del Cristo fosse riconoscibile da tutti i sapienti, anche da quelli stranieri. Anzi la presenza di tali sapienti appartenenti ad una cultura religiosa esterna al Giudaismo implica un giudizio fortemente critico nei confronti della cultura ufficiale ebraica, quella del Tempio, reputata incapace di leggere un omen celeste quale quello rappresentato dalla misteriosa comparsa di una stella designate la venuta del Salvatore.

Dietro la visita dei Magi, e soprattutto attraverso la simbologia dei tre doni (la quale ha probabilmente contribuito a standardizzare in alcune tradizioni il numero degli stessi “donanti”) si deve inoltre riconoscere in tutta la sua pienezza la valenza sacerdotale e regale del Cristo nascente; così come Ciro il Grande, il sovrano achemenide, era stato considerato “l’unto del Signore”, ora i Magi (verisimilmente iranici, come abbiamo notato) vengono a ungere il nuovo Re del mondo. Ma sono molti altri gli aspetti simbolici e storico-religiosi implicati dall’iconografia dei Magi; ad esempio, quello connesso, in alcune tradizioni, con la loro età (si rammenti che uno dei magi è giovane, uno di mezza età ed uno anziano), che sembra evocare il triplice aspetto della divinità iranica e greca del tempo infinito, Zurvân/ Aion. Non si dimenticherà inoltre che proprio uno dei Magi, Gaspare, porta un nome indiscutibilmente iranico (è infatti da connettersi ad antroponimi quali Gondofares, Intafernes o Vindafarnah).

Il caso dei Magi, peraltro così presenti anche nell’arte tardo antica e medievale, in modo particolare a Ravenna, mostra come le culture che si sono affacciate sul Mediterraneo antico, tardo antico e medievale, abbiano partecipato di forti e mutui influssi intellettuali e come ciascuna, pur con le sue diverse tradizioni ed eredità, abbia talora attinto ad un comune patrimonio di simboli e di categorie del pensiero religioso. Il “conflitto” di civiltà non è mai stato privo di profondi scambi, né la storia dell’Europa è stata solo europea; a ricordarci che il nostro passato, come in nostro presente, si dipanano in una dimensione euro-asiatica possono quindi ricordarcelo anche i Magi e la loro stella (qualunque cosa essa fosse).