Una clessidra per capire le nuove povertà
Diplomati, laureati e tutte le altre categorie professionali che, pur percependo uno stipendio non riescono a raggiungere livelli di stipendio adeguati, sono figli di un mercato del lavoro che non ha più la struttura di una piramide ma quella di una clessidra. A spiegarlo è Stefano Zamagni, economista dell'Università di Bologna che indica in una nuova forma di stato sociale l'unica via d'uscita al paradosso di società più ricche ma con sacche di povertà sempre più estese.
Dalla piramide alla clessidra. Il fenomeno della nuova povertà si spiega così, nel passaggio da un mercato del lavoro a struttura piramidale - con un vertice, una base e una corposa categoria intermedia - a un mercato del lavoro, quello attuale, che ha invece la forma di una clessidra – con due sacche di lavoratori consistenti, una a monte e una a valle, unite da una fascia intermedia di professionisti sempre più smilza e sempre più spinta verso il basso. "Tra le file di quest'ultima categoria – afferma Stefano Zamagni, ordinario di economia - si nascondono i working poor, i diplomati e neolaureati che ingrossano le fila degli stipendiati incapaci di raggiungere un livello di decenza economica".
Professor Zamagni, quali sono le cause di un fenomeno che, dati Censis alla mano, coinvolge circa il 20% della popolazione italiana?
"Due sono i fattori che hanno creato il paradosso di società sempre più ricche e nel contempo afflitte da sacche di povertà sempre più estese. In primo luogo ha inciso l'introduzione delle tecnologie infotelematiche: con il loro ingresso il mercato del lavoro ha subito una forte polarizzazione e le aziende sono state indotte a cercare un ristretto manipolo di specialisti ultra pagati da affiancare a una manovalanza a basso costo. Poi è intervenuta la globalizzazione: deterritorializzazione e delocalizzazione hanno offerto la possibilità di decentrare le attività produttive e questo ha drasticamente ridotto il potere contrattuale dei lavoratori, generando come conseguenza una forte contrazione dei salari a livello locale".
Tecnologie infotelematiche e globalizzazione sono dunque le cause: tamponare gli effetti negativi di queste evoluzioni economico-produttive è possibile?
"Non certo con strumenti tradizionali. Sussidi straordinari non possono fronteggiare un fenomeno endemico e contributi assistenziali, oltre che ledere la dignità di chi ne beneficia, non possono essere finanziariamente sostenuti da uno stato quando i destinatari sono percentuali della popolazione alte come quelle riportate dal Censis".
Ma allora, se il vecchio concetto di welfare è inadeguato, qual è la rotta economico-politica per impedire alla spesa al supermarket di diventare l'evento drammatico quotidianamente descritto dalle interviste ai consumatori?
"Innanzitutto andrebbero ridisegnate le politiche educative, introducendo una sorta di educazione permanente, nella quale diplomi e lauree non fossero più considerati approdi definitivi. Questo per evitare il licenziamento improvviso dei quarantenni. A livello più generale andrebbero poi riformulate tutte le politiche sociali, da configurarsi non più come strumenti per la tutela di chi già lavora, ma come supporti per chi il lavoro deve trovarlo".
Ovvero, in termini concreti?
"Misure per incentivare la produzione e il consumo di beni relazionali: cultura, assistenza e servizi alla persona. Sono questi beni, indispensabili e immuni ai processi di delocalizzazione, le carte vincenti su cui puntare per garantire in futuro salari adeguati alle fasce di lavoratori intermedie".