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Le mele di Chernobyl sono buone

Giancarlo Sturloni sarà a Bologna per presentare il suo ultimo saggio dedicato al governo della scienza, alla gestione dei rischi tecnologici e alla nuova mitologia legata all’immaginario scientifico.
Copertina del libro Le mele di Chernobyl sono buone

Tutto partì con Hiroshima. La tecnologia svelò allora il suo potenziale distruttivo. Ne presero coscienza in primo luogo i fisici e attraverso loro il grande pubblico. Arrivarono poi gli anni Sessanta, i concimi chimici e i primi movimenti ambientalisti. Crebbero le pressioni sugli attori politici e di lì a poco arrivarono direttive europee per la regolamentazione delle tecnologie e agenzie per l’informazione del pubblico. E così si giunge all’oggi: alla mucca pazza e all’aviaria, alla crisi degli esperti e alla trasformazione dei mass media, che da strumento di allarme diventano un’arena per il confronto. Temi caldi, prossimi come siamo al 26 aprile, data in cui ricorrono i vent'anni dell'incidente di Chernobyl.

La storia di mezzo secolo di rischio tecnologico è il fulcro di Le mele di Chernobyl sono buone, il libro di Giancarlo Sturloni, che sarà presentato giovedì 11 maggio alle ore 17.30 presso l’Aula A del Dipartimento di Discipline della Comunicazione (via Azzogardino 23). Oltre all’autore parteciperanno all’incontro, organizzato da Unibocultura e Biopop, la sociologa Pina Lalli e la giornalista scientifica Elisabetta Tola.

Sturloni, responsabile del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste, ripercorre nel testo alcuni momenti chiave del rapporto tra scienza e società (da Bikini a Seveso, dall’Aids alla mucca pazza) per fare il punto sulla situazione attuale "dove – dice – nascondere è controproducente. Manifestazioni come quelle contro la Tav in val di Susa dimostrano che occorrono una partecipazione e un consenso allargati. Prima di ogni grande opera occorre riunire i diversi interessi attorno a un tavolo e farli discutere: attenuare il conflitto è possibile, evitando di polarizzarlo e ridurlo a scelte estreme risolvibili solo con una consultazione referendaria".

Le forme attraverso cui incentivare questo dialogo tra le posizioni sono solo accennate nel testo: consensus conference, focus group, monitoraggi. Grande spazio hanno invece le nuove forme di sapere maturate con l’allargamento del dibattito. "Oggi – spiega Sturloni – è più facile recuperare le informazioni. Ma soprattutto oggi assistiamo alla produzione autonoma dei saperi. Chi contesta consulta propri esperti di riferimento e ricorre al sapere esperto in modo politico".

Ma perché tanta attenzione alla scienza? L’autore (edizioni Sironi, 16 euro) avanza un’ipotesi di lavoro: la scienza è un mito moderno. "La scienza – conclude Sturloni – è il linguaggio con cui raccontiamo oggi qualcosa che abbiamo dentro da sempre. Storie legate al potere della conoscenza e ai pericoli di una creatura che si ribella al suo creatore. Storie che in letteratura sono state raccontate da Frankestein e dal Golem".