Molta dell'energia di cui si serve il nostro organismo proviene da strutture cellulari conosciute come mitocondri. Al loro interno hanno luogo processi biochimici (la respirazione mitocondriale), grazie ai quali la maggior parte delle nostre cellule estrae l’energia dalle molecole dei nutrienti. Come organismi indipendenti, i mitocondri hanno il loro proprio DNA - DNAmt - una piccola molecola circolare che fu ignorata dagli scienziati clinici fino al 1988, quando vennero scoperte in essa le prime mutazioni. Quando si capì, cioè, che alterazioni nel funzionamento dei mitocondri erano alla base di patologie ereditarie, le malattie mitocondriali.
Al mondo, pochissimi gruppi di ricerca si occupano ad alto livello di questo genere di patologie. Quattro o cinque al massimo. "L’Università di Bologna – dice il dott. Valerio Carelli, direttore del Laboratorio di Neurogenetica del Dipartimento di Scienze Neurologiche - è uno di questi. Sin dalla fine degli anni ’80 studiosi di diversi dipartimenti dell’Alma Mater sono al lavoro, sia sul campo della diagnosi che della ricerca, su quelle che tecnicamente definiamo encefalomeopatie mitocondriali".
In particolare, lo studio del laboratorio diretto dal dott. Carelli, riguarda la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON): una rara malattia familiare, legata ad una disfunzione del Dna mitocondriale, che porta gravi disturbi della vista fino alla cecità. "In quest’ambito - ci assicura Carelli – Bologna è l’avanguardia mondiale".
E infatti, un giorno di un anno fa, il professore riceve una mail dal signor Guy Miller, CEO, (Chairman and Chief Executive Officer) dell’Edison Pharmaceuticals Inc. La casa farmaceutica dispone di molecole nuove legate ai processi di ossidazione della respirazione mitocondriale e vuole scoprire se possono funzionare per la cura di alcune malattie mitocondriali, tra cui la neuropatia di Leber. La valutazione di queste possibilità – e questo è il contenuto della mail e del contratto che l’ha seguita – è affidata al gruppo bolognese del professor Carelli e al Columbia University Medical Center, dove Carelli ha lavorato per anni.
"L’Università di Bologna – spiega il dott. Carelli – possiede un consistente pool di pazienti su cui sono stati compiuti studi genetici e un enorme materiale biologico su cui poter effettuare la ricerca proposta dalla Edison". Operando su dei cibridi, delle cellule immortalizzate, frutto di linee clonate ad origine tumorale, è possibile, infatti, effettuare tutti i trasferimenti di mitocondri necessari e condurre lo studio. Grazie a questa doppia felice disponibilità, di tecnologia e di materiale, l’Università di Bologna ha potuto firmare un contratto con Edison e Columbia che – racconta il prof. Carelli – "è un fatto rarissimo ed eccezionale per un Ateneo".
Solitamente "l’industria farmaceutica si rivolge all’università per testare dei farmaci prima della commercializzazione. In questo caso – invece – un’azienda farmaceutica si appella alla ricerca di base dell’università italiana" e stabilisce con essa una partenership che, forse, potrebbe consolidarsi in un futuro brevetto congiunto. Tutto un altro rapporto, insomma; ma anche tutta un’altra considerazione della ricerca universitaria che – sottolinea Carelli – accede a risorse e finanziamenti economici ridottissimi. Fino ad oggi, infatti, i fondi pubblici provenienti dallo Stato, sotto varie forme, sono stati assolutamente insufficienti e la ricerca è andata avanti grazie ai soldi ottenuti da Telethon. La prima tranche di finanziamento della Edison, al contrario, consente maggiore ottimismo e fa guardare con fiducia alle prospettive di cura delle malattie mitocondriali, e al futuro della ricerca bolognese.