"Perché le università?" Umberto Eco per i venticinque anni della Magna Charta
Il discorso che Umberto Eco ha pronunciato nell'Aula Magna di Santa Lucia lo scorso 20 settembre in occasione delle celebrazioni per i venticinque anni della Magna Charta Universitatum. Ne riportiamo i paragrafi introduttivi, il testo integrale è liberamente scaricabile in fondo a questa pagina
Il 18 settembre del 1988, 388 rettori provenienti da tutta Europa e oltre, avevano firmato la Magna Charta Universitatum. Da allora, quel testo è divenuto l’essenziale punto di riferimento circa i valori e i principi fondamentali dell’istituzione universitaria.
A dispetto dei mass media, spesso critici nei confronti del ruolo dell’università in un mondo in cui il Web sembra prossimo a soppiantare le vecchie istituzioni di formazione, credo che la funzione delle università sia oggi più che mai rilevante.
Viviamo un momento storico in cui, nonostante l’ormai lunga vita dell’Unione Europea come istituzione, in molti paesi d’Europa qualcuno dubita che la creazione dell’unità economica per mezzo di una moneta unica sia sufficiente a sviluppare e sostenere l’idea di un’identità europea.
Vorrei ricordare che l’idea stessa di una possibile identità europea nasce nel 1088, con la fondazione della prima università del mondo occidentale. A quell’epoca l’Europa era solo un’espressione geografica che designava la porzione centrale dell’universo conosciuto, sicuramente meglio nota delle ancora fiabesche terre d’Asia e d’Africa, ma non portatrice di valori politici o culturali. C’era il Sacro Romano Impero, allora incarnato da Federico Barbarossa; c’era la Chiesa di Roma, c’erano i regni di Francia e Inghilterra, in feroce competizione tra loro, e i piccoli regni cristiani di Spagna, in lotta contro il dominio arabo; le prime Repubbliche marinare e i primi comuni in Italia, e il primo nucleo della Lega Anseatica: tutti divisi da interessi e idiomi diversi, e uniti solo da una lingua veicolare, il latino medievale, che tuttavia era parlato esclusivamente dagli eruditi.
Fu proprio su questo pidgin culturale che nacquero le università, unico caso di migrazione pacifica di studiosi e studenti: i clerici vagantes che si spostavano di ateneo in ateneo, di città in città, di nazione in nazione, cosicché nei secoli a venire troveremo Erasmo, Copernico, Goffredo di Vinsauf, Paracelso e Dürer a Bologna, e Bonaventura e Tommaso d’Aquino a Parigi. Tutti parlavano la stessa lingua; i problemi dibattuti dagli averroisti a Bologna erano i medesimi discussi alla Facoltà delle Arti a Parigi, e Marsilio da Padova dissertava con Guglielmo da Occam e Giovanni di Jandun su questioni politiche di importanza capitale per l’Impero germanico.
Le università formarono così il primo nucleo di una futura identità europea: l’Europa delle università cessò di essere solo un’espressione geografica, per divenire una comunità culturale. E anche venendo ai nostri giorni, e pensando alla globalizzazione (indubbiamente frutto di numerosi sviluppi politici, militari, scientifici e tecnologici), non dovremmo dimenticare che fu anche attraverso la rete universitaria che Fermi e i suoi colleghi italiani portarono i risultati delle loro ricerche negli Stati Uniti, così come Einstein riunì le esperienze scientifiche europee e americane delle tre università di Berna, Berlino e Princeton.
Credo che questi brevi cenni siano sufficienti per rispondere alla domanda "perché le università?". Negli ultimi novecento anni, esse sono state crogiuolo di un’identità internazionale, e artefici dei capitoli più creativi nella storia della cultura occidentale.
Possono ancora svolgere un ruolo nel mondo globalizzato di oggi?