Nei pazienti affetti da Alzheimer, la presenza del gene APOE4 è un fattore determinante per attivare una proteina - chiamata proteina Tau - capace di sviluppare effetti tossici a livello cerebrale. La scoperta arriva da uno studio del Laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale della Fondazione Santa Lucia IRCCS, a cui hanno partecipato ricercatori dei dipartimenti di Farmacia e Biotecnologie (FaBiT) e di Scienze Mediche e Chirurgiche (Dimec) dell'Università di Bologna, insieme a scienziati dell'Università di Roma Tor Vergata e dell'Istituto Superiore di Sanità.
Da poco pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Scientific Report, lo studio è in accordo con i risultati di un'altra importante ricerca realizzata negli Stati Uniti su modelli animali e pubblicata in contemporanea.
APOE4 è un'alterazione del gene che codifica per l'Apolipoproteina E, o più semplicemente APOE, una proteina coinvolta nel trasporto del colesterolo, da tempo associata al morbo di Alzheimer. Allo stesso modo, da diversi anni è noto il ruolo della proteina Tau nello sviluppo della malattia. Fino ad oggi, però, poco si sapeva di come queste due proteine interagiscono nei pazienti affetti da Alzheimer.
Per fare luce su questo tema, i ricercatori hanno analizzato il liquor cefalorachidiano (un fluido corporeo che si trova nel sistema nervoso centrale) di alcuni pazienti classificati sulla base della presenza o meno del gene APOE4. Per ogni paziente sono state misurate le tracce della proteina Tau nel liquor cefalorachidiano e, in una fase successiva, il livello di efficienza della loro attività cerebrale tramite Stimolazione Magnetica Transcranica. In parallelo, una parte del liquor è stata utilizzata per verificare la diretta tossicità su cellule cerebrali sane in coltura.
"Nei pazienti con APOE4 - spiega Giacomo Koch, responsabile del Laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale - abbiamo osservato che chi presenta livelli più alti di proteina Tau ha anche una maggiore compromissione dell’attività cerebrale e una progressione più rapida della malattia. Al contrario, l'altro gruppo di pazienti ha mostrato un decorso svincolato dalla proteina Tau".
Un risultato, questo, confermato anche dall'analisi delle colture di cellule cerebrali. "Il liquor cefalorachidiano analizzato - chiariscono i ricercatori Unibo Gabriele Campana e Monica Baiula del FaBiT e Roberto Rimondini del Dimec - aveva un effetto dannoso sulle colture di cellule cerebrali sane solamente quando proveniva dai pazienti portatori del gene APOE4 con valori elevati di proteina Tau".
Entrambi gli esperimenti, insomma, hanno condotto allo stesso risultato: la proteina Tau è associata ad un danno maggiore solo nei pazienti portatori del gene APOE4.
Si tratta di una scoperta con implicazioni cruciali. Sia perché lo studio individua un nuovo potenziale target terapeutico per combattere la malattia nella relazione tra proteina Tau e APOE. Sia perché si aprono così scenari completamente nuovi sui farmaci mirati a bloccare la tossicità della proteina Tau, oggi considerati la frontiera più promettente per la cura dell'Alzheimer. I pazienti con APOE4, su cui questi farmaci potrebbero mostrare maggiore efficacia, sono infatti più del 50% di chi è affetto dalla patologia. E al tempo stesso, proseguendo nello studio del meccanismo di sviluppo della malattia, si potranno ottenere informazioni ancora più specifiche sulle diverse “tipologie” di Alzheimer esistenti.