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Le stelle, il talento, le passioni, l'assoluto: Pupi Avati racconta la Loiano del suo ultimo film

C'è Marcello, svagato cacciatore di comete. C'è Gianca, appassionato suonatore di sax. C'è Nick, talentuoso trombettista. E ci sono le stelle, immense evocatrici di assoluto. Pupi Avati racconta il viaggio nell'osservatorio di Loiano intrapreso per il suo ultimo film.
Pupi Avati Dal cielo di Bologna cade una neve copiosa e nell'auto di Marcello, priva dello sportello posteriore destro, i seggiolini sono bianchi come una pista da sci. Il Marcello in questione è il cacciatore di comete di "Ma quando arrivano le ragazze?", l'ultimo film di Pupi Avati: un personaggio con la testa sulle nuvole, distratto e sognatore, che ricalca appieno lo stereotipo di fisico impostosi da Einstein in avanti. Ma Marcello esiste davvero nel Dipartimento di via Ranzani e nell'Osservatorio di Loiano, usati come sfondo per alcune scene del film? "In realtà - risponde Avati - Marcello e il suo stereotipo sono soprattutto miei desideri, astrazioni della realtà: quell'auto senza sportello è un modo per caratterizzare meglio persone che comunque ritengo davvero più lontane dalle  pulsioni di ogni giorno. Persone come Marcello, appunto, che, durante il concerto finale al Comunale, mentre tutti rincorrono le loro beghe, torna a Loiano a cacciare le comete per l'ennesima volta".

Per raccontare questo inseguimento, il finale offre una panoramica dell'osservatorio astronomico bolognese: le sue strumentazioni, le sue luci, la sua cupola, il suo telescopio. In quel mondo che ne studia un altro così lontano, Avati ha trovato una passione non comune: "Mi ha colpito - spiega il regista - vedere tanti giovani dedicare la parte migliore della loro vita a un'attività di pura gratificazione, perché, da quanto mi è parso di capire, il tornaconto professionale non c'è".

Il tema della passione, dunque. La differenza tra questa e il talento è uno dei perni centrali della pellicola, che ruota attorno agli insuccessi di Gianca, pieno di passione ma privo di talento, e ai successi di Nick, scapigliato ma naturalmente predisposto a suonare quella tromba che gli dà gioie professionali e fascino con le donne. Il messaggio è che l'impegno da solo non basta e che, anziché sforzarsi di esprimere con mezzi non propri, occorre cercare il proprio talento. Una ricerca non facile, però: nel film il protagonista è succube di un padre desideroso di vederlo sul palcoscenico e nel mondo reale si sente spesso il condizionamento del diverso prestigio che la società attribuisce ai singoli mestieri. "E' ovvio - spiega Avati - che esiste una fascia di persone per le quali non è neppure possibile porsi il problema, perché la necessità le costringe ad accettare qualsiasi cosa. Il mio, se si vuole, è un discorso elitario, rivolto a chi è a un livello sociale tale da essere libero di scegliere. E' a chi è in questa condizione che si rivolge il mio appello sull'insufficienza della sola passione".

Un appello individuale o sociale? "Famiglia e scuola - risponde il regista - avrebbero il dovere di porre il problema, perché purtroppo, neppure ai licei, ai conservatori o al Dams, c'è un meccanismo posto a dissuadere gli inadeguati o incentivare i talentuosi; il mio appello, però, resta principalmente individuale".

Un appello rivolto a ognuno di noi, con l'assolutezza evocata da quelle comete cacciate da Marcello e da quegli sfondi stellati che occupano i salti temporali della storia, "infondendo - conclude Avati - alla quotidianità di una vicenda borghese, l'immensità degli eventi cosmici".