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L'esaurimento dei ricercatori universitari

Il Rettore, in un intervento pubblicato da Repubblica-Bologna domenica 13 febbraio 2005, riassume la sua posizione in merito alla riforma dello stato giuridico della docenza universitaria.
Ricercatore Perché tanto affaticarsi attorno a nuove forme di stato giuridico dei ricercatori universitari? Perché tanto impegno sull'espansione del precariato universitario? Non saprei dare alcuna risposta razionale a questa e alle altre domande che suscita la proposta di riforma dello stato giuridico del personale docente e ricercatore universitario che dovrebbe andare in discussione in Parlamento nelle prossime settimane.

E' stato imputato allo stato di fatto degli attuali ricercatori di non corrispondere alle intenzioni originarie della legge istitutiva del ruolo. Felix culpa, si dovrebbe dire, poiché in trent'anni di esperienze l'università ha adattato quel ruolo alle sue esigenze di rinnovamento e ai nuovi compiti che le venivano assegnati, naturalmente senza risorse aggiuntive: come quello di costruire un nuovo sistema di formazione che fosse più efficiente rispetto alle esigenze degli studenti e più efficace rispetto alle domande della società.

Empiricamente e gradualmente l'università si è modellata il ruolo dei ricercatori a dimensione delle sue reali esigenze, colte e sperimentate sul campo e non immaginate nel chiuso dello studio di qualche stravagante esperto, tanto vicino alla realtà delle cose quanto lo erano le ombre della caverna di Platone.
Questo modello che l'università si è costruito nel corso del tempo è di fatto quello di una terza fascia di ricercatori-docenti, poiché se l'inscindibilità di docenza e ricerca non è una pura clausola di stile ma, come noi crediamo, un'esigenza reale e ineludibile, allora essa si deve manifestare fin dalle prime fasi della carriera di un universitario.

Con molto compiacimento apprendiamo che ad un'ipotesi di questo tipo è ora arrivata anche la Conferenza dei Rettori (CRUI), la quale nell'ultimo documento approvato dall'assemblea auspica la costruzione di "un nuovo ruolo nel quale possano confluire gli attuali ricercatori". La materia dello stato giuridico del personale universitario è oggettivamente ardua e per questo è ragionevole che ciascuno tenti uno sforzo per contemperare i diversi punti di vista: su tutto, ma non sul reclutamento dei giovani poiché su di esso si gioca direttamente il futuro dell'università e della ricerca scientifica di questo paese.

E' un errore ampliare ulteriormente la fascia di precariato all'ingresso, poiché non c'è alcun bisogno di estendere ciò che già esiste in forma consistente. E' poco saggio non prendere atto delle esigenze che le università manifestano con la concretezza di trent'anni di esperienza. E' imprudente non tenere conto che nelle università anglosassoni le figure accademiche sono quattro, mentre noi tenderemmo a ridurle a due. E' incredibile, non foss'altro sotto il profilo gestionale, l'ipotesi di un ruolo ad esaurimento nel quale siano stati concentrati ben venticinquemila ricercatori.

Lasciamo perdere questi tormentosi esercizi sull'accesso dei giovani alle università e applichiamoci piuttosto all'unico autentico problema che è l'aumento dei ricercatori nelle università e negli enti di ricerca e la riduzione del divario che ci separa ormai così pesantemente da tutti i paesi europei, non sulla qualità ma sulla quantità della nostra ricerca.