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Comitato Pari Opportunità dell'Ateneo

Dalla disabilità alle differenze di genere, dalla precarietà lavorativa al cambiamento di identità sociale. Se ne è discusso in Ateneo nel corso di un convegno organizzato dal Comitato Pari Opportunità.
Finestre Dove va il lavoro? "Va dove lo fanno andare gli uomini, ossia dove lo fa andare la società umana". E’ una delle tante risposte famose che il professor Francesco Novara, docente di Psicologia del lavoro alle Università di Milano e di Torino ha dato ad una domanda quanto mai attuale e problematica. Proprio il professore è stato ospite, la settimana scorsa, di un incontro organizzato dal Comitato Pari Opportunità di Ateneo sul tema del rispetto delle diversità. L’incontro in un’Aula Ruffilli gremita (oltre 350 tra docenti, tecnici-amministrativi e studenti) ha visto il succedersi di diversi interventi che hanno affrontato il problema della disabilità, delle differenze di genere, della precarietà lavorativa e del cambiamento di identità sociale.
Dopo un’introduzione affidata alla Presidente del CPO prof. Paola Rossi, si sono succeduti gli interventi della prof. Vita Fortunati, sulla differenze di genere nel mondo del lavoro, del prof. Andrea Canevaro, che ha affrontato il tema delle buone prassi e della disabilità. A Maria Grazia Morra, coordinatrice della Rete dei Comitati Pari Opportunità il compito di riflettere sull’importanza che i CPO hanno in molte amministrazioni e in particolare nelle università, che da questo punto di vista hanno una normativa più favorevole in ragione dell’autonomia. Dopo aver sottolineato gli sviluppi che ci sono stati a partire proprio dalla differenza di genere, Morra ha evidenziato come nuove esperienze di Comitato, come quello di Bologna, vanno determinando un peculiare percorso progettuale in parte distinto dalle altre esperienze nazionali, poiché qui viene messo al centro il concetto di benessere organizzativo a cui tutti devono poter pervenire.

Centrale nell’intervento di Novara invece il concetto di riduzione dello spazio etico delle persone se poste di fronte a lavori precari e instabili, che incidono sull’identità e sulle relazioni con gli altri. L’incapacità di programmare il proprio futuro, a partire dalle aspirazioni e dagli obiettivi di ciascuno, è solo una delle conseguenze di certe forme di precarietà a cui si aggiungono, come dimostrano numerose ricerche, l’aumento delle malattie psicosomatiche, il calo di sensibilizzazione, l’aumento dell’ansia. L’auspicio con cui Novara ha chiuso l’intervento è stato quello di fronteggiare  tale problema cercando di far dialogare i lavoratori precari con gli altri, per aumentarne il loro senso di stabilità.

"Le persone sono sempre meno dentro il proprio compito e il proprio ruolo e sono sempre più dentro una rete di relazioni con altri soggetti", ha commentato Michele Menna, nella duplice veste di componente del Comitato Pari Opportunità e di Dirigente dello Sviluppo delle Risorse Umane, con il quale abbiamo approfondito alcuni temi affrontati nel corso dell’incontro. Di qui la necessità e l’impegno dell’Amministrazione, secondo Menna, per una formazione che cerchi di far comprendere il contesto e di far sentire la persona che lavora sempre più consapevole di quanto avviene sia fuori che dentro la propria organizzazione. E ciò grazie anche all’azione preziosa del CPO che ha un ruolo più ampio e propositivo rispetto ai temi del lavoro e della persona e che può fornire molti stimoli e suggerimenti all’Amministrazione universitaria. "In altre parole -spiega Menna, riprendendo in parte quanto suggerito dallo stesso Novara in un recente intervento proprio qui a Bologna -, un’organizzazione responsabile e di successo è un’organizzazione che sa guardare al mondo e a quello che nel mondo sta succedendo".

"Io penso - ha proseguito Menna- e in questo so di condividere appieno tale impostazione con il Direttore Amministrativo, che un servizio interno che si occupa di formazione o di organizzazione o di sviluppo debba progettare i percorsi di crescita per i propri dipendenti  preoccupandosi da un lato di comprendere quello che avviene al proprio interno e dentro i propri confini, dall’altro quello che avviene fuori. Cercando, ad esempio, di capire maggiormente fenomeni come quelli legati al precariato, alla salute, alla sicurezza nei luoghi di lavoro, ma anche all’evoluzione dei sistemi di finanziamento delle università, ecc".

In altri termini la ricetta proposta è quella di contrastare i non-luoghi di lavoro, cioè quei posti che mancano di identità, di una storicità circa le cose che avvengono e di una relazionalità tra le persone, per progettare al loro posto veri e propri luoghi, utilizzando più piani d’azione. Prendendo a prestito gli strumenti semiotici di Jean Marie Floch, spiega Menna, "occorre dare vita ad uno spazio di lavoro che tenga conto della dimensione pratica, legata a finalità concrete e funzionali, utopica in cui sviluppare la dimensione progettuale e la tensione verso nuovi scenari, critica, dedicata alla comprensione attraverso la riflessività, la valutazione e il monitoraggio e infine ludica dove centrali diventano i concetti di creatività e complicità. Proprio la dimensione critica (da intendersi in maniera costruttiva) diventa quella fondamentale in questa fase dove bisogna comprendere la complessità prima di fronteggiarla. In questa dimensione rientrano molte delle azioni di diagnosi organizzativa avviate dall’Amministrazione (clima organizzativo, progetto neoassunti, inventario delle competenze, analisi retributiva, ecc.). Insieme a quelle che verranno avviate dal Comitato Pari Opportunità consentirà all’Ateneo bolognese di migliorare anche la propria capacità di ascolto verso i propri dipendenti e di confrontarsi sulla base di dati comuni e affidabili con altri attori e soggetti interni, come ad esempio il Soggetto Sindacale che riveste un ruolo fondamentale sui temi lavorativi, al fine di trovare soluzioni condivise, adeguate e rispettose del contesto".

"In concreto - conclude  Menna - occorre impegnarsi a costruire luoghi di lavoro più appropriati e capaci di accettare differenze di status, di aspettative, di coinvolgimento, di tempi di vita e persino di paure e di speranza delle persone". Anche questo è un modo di garantire a tutti pari opportunità, tenendo conto positivamente delle differenze.