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Cascione, il partigiano che fece fischiare il vento

Una nuova ricostruzione storica del prof. Brizzi, che sarà pubblicata proprio nell’anniversario della liberazione, riporta l’attenzione sulla battaglia dell’Università. Al centro della ricerca le vite degli studenti che animarono la resistenza. Compresa quella del ligure Cascione, rivelatosi autore del celebre motivo "Fischia il vento".
Felice Cascione 20 ottobre 1944. Nel cortile dell’Istituto di Geografia sei giovani partigiani sono fucilati dalle brigare nere. Un epilogo di sangue a un pomeriggio di sparatorie che il prof. Gian Paolo Brizzi, dopo un primo opuscolo dal titolo "La Battaglia dell’Università", torna ad affrontare per combattere il luogo comune che vuole gli studenti dell’Alma Mater estranei alla Resistenza. Il nuovo testo "Studenti per la democrazia" (edito da Clueb) sarà pubblicato esattamente il 25 aprile, sessantesimo anniversario della liberazione: all’interno scritti, analisi e testimonianze – firmate anche dal Rettore, Pier Ugo Calzolari, e dal sindaco di Bologna, Sergio Cofferati – che portano alla luce il lungo lavoro di ricerca condotto per rubare all’Archivio Storico dell’Ateneo, nomi, indizi e storie dei protagonisti di allora.

Tra gli aneddoti di speranza e di delusione trova spazio anche la storia dell’autore di "Fischia il vento". Dietro alle parole del celebre motivo c’è il giovane Felice Cascione, uno studente di medicina nato a Imperia nel 1918 e venuto a Bologna per coltivare la sua passione per l’arte medica, per lo sport e per quella politica che poi l’assorbì fino alla morte.
Attivo antifascista sin dal 1940, Cascione, l’anno dopo la laurea conseguita nel 1943, si affianca alla madre nella guida delle manifestazioni popolari a Imperia per la caduta del fascismo. Una marcia per le strade che presto diventa lotta armata: dopo l’8 settembre, Cascione raccoglie infatti un piccolo numero di giovani e nella località di Magaletto Diano Castello anima la prima banda partigiana dell’Imperiese. Guida i suoi ad azioni vittoriose, ma lui, definito da Alessandro Natta "bello e vigoroso come un greco antico", non tralascia mai di prestare soccorso ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea.
 
Una fedeltà alla professione così assoluta da condurlo all’errore. Durante la battaglia di Monterenzio i partigiani catturano un tenente e un milite della Brigate nere (M. Dogliotti). Un impaccio di cui la squadra si vorrebbe eliminare, ma che "U megu" - il dottore - vuole salvare, vedendo l’uomo sotto la divisa: "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo – dice Cascione - e ora voi volete che io permetta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti e Cascione divide con Dogliotti, il più malandato, le coperte, il rancio, le sigarette. C’è chi diffida, ma il medico replica a tutti che "non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l’abbia saputo educare alla libertà".
Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All’alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce. Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripiegamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di abbandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura, ma Castellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov’è il comandante. Cascione, quasi agonizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!". Viene crivellato di colpi.

Per il coraggio dimostrato, a Felice Cascione fu conferita la medaglia d’oro alla memoria.