Autore: Matilde Callari Galli, Giovanna Guerzoni, Bruno Riccio (a cura di)
Editore: Guaraldi Universitaria
Prezzo: 25 Euro
Israele e Palestina, ex Jugoslavia, Somalia, Afghanistan, Uganda, Ruanda, Liberia. Sono solo alcuni dei paesi coinvolti negli ultimi decenni da conflitti, spesso civili, sanguinosi e che mettono in crisi l’idea secondo cui la seconda metà del Novecento sia stato un periodo pacifico della storia dell’umanità. A 25 milioni ammontano le vittime per cause belliche dal 1945 al 1995: 17 milioni sono civili.
C’è questa triste consapevolezza alla base di "Culture e Conflitto" (Ed. Guaraldi Universitaria), il volume curato da Matilde Callari Galli, docente di Antropologia Culturale alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, e da Giovanna Guerzoni e Bruno Riccio, entrambi ricercatori dell’Ateneo bolognese. Una trama continua di povertà, violenza e guerra annoda la nostra storia recente, facendo dello stato di insicurezza e di conflitto la condizione di vita permanente di milioni di persone al mondo. "Mio figlio non mi ha mai visto lavorare in una risaia: e io sono un contadino […] Per lui il riso germoglia nei sacchi di juta e l’acqua si trova in bottiglie di plastica spedite dalla Francia". È il racconto di un padre mutilato da una mina in Cambogia, che da decenni vive da rifugiato. Al mondo sono 50 milioni quelli che, come lui, vivono nei campi profughi: il 60% sono bambini, la traccia più visibile della guerra come situazione esistenziale.
La globalizzazione ha reso questo stato di cose molto più difficile e complesso, accrescendo – se possibile – il tasso di incertezza e rischio. Le informazioni e i significati si producono e si riproducono su scala mondiale, si deterritorializza la cultura ma, allo stesso tempo, si fanno avanti modi di riappropriazione delle identità locali. Dentro queste spinte divergenti, sostengono gli autori del libro, si globalizzano anche e soprattutto le forme della miseria, della violenza e del conflitto e accade, dunque, che le tante "guerre di riconoscimento" che insanguinano il Terzo Mondo si assomiglino tutte – secondo un legame necessario tra povertà e barbarie – e si riducano le possibilità di una loro comprensione.
Qui sta il punto: cercare di contrapporre al flusso straripante di informazione e immagine sui conflitti planetari, spazi di riflessione e scrittura. Arginare, attraverso l’esercizio della critica e dell’analisi, quell’effetto di indifferenza per troppa informazione (e spesso cattiva) che sulle guerre i media propongono al pubblico occidentale. Interpretazione contro spettacolo. I mille conflitti locali hanno, ciascuno, dinamiche proprie, attori sociali distinti e mettono in gioco fattori diversi. Senza uno sforzo di osservazione ravvicinata, quei conflitti rimangono per lo più opachi alla nostra intelligenza. Sostiene Matilde Callari Galli: "La complessità che caratterizza i conflitti contemporanei […] ci costringe ad abbandonare i modelli unilineari e unidimensionali e a rivolgerci ad interpretazioni multifattoriali per affrontare i loro andamenti sfuggenti, risultati di dinamici intrecci di modelli sociali e culturali, di interazioni economiche e politiche, di sistemi di valori, di comportamenti e atteggiamenti intrisi di significati simbolici".
Un invito e una proposta di maggiore consapevolezza, dunque, contro la pericolosa idea dello scontro tra civiltà e della distinzione come difesa di presunte pure identità, alla quale, molto spesso, si alimentano le ragioni del conflitto e della violenza.