Autore: Günther Anders
Editore: Quodlibet
Prezzo: 14.50 Euro
Che Gregor Samsa si svegli una mattina e si ritrovi trasformato in uno scarafaggio non è poi sbalorditivo. Sbalorditivo è che questo fatto venga accettato come qualcosa di normale dal protagonista. Chi, durante la lettura de La metamorfosi, non ha fatto questo pensiero? Se lo chiese Günther Anders, il filosofo ebreo tedesco sin dal 1933, quando Franz Kafka lo avevano letto in pochissimi. Leggere lo scrittore praghese per scoprire la natura dei suoi personaggi, l’idea di umanità e cittadinanza che essi suggeriscono: rimanendone affascinato ma fatalmente preoccupato.
La storia di Kakfa. Pro o Contro di recente pubblicato in Italia da Quodlibet è lunga ed accidentata. All’origine del saggio vi è una lezione che Anders tenne a Parigi nel 1934, dopo essere scappato dalle leggi razziali naziste. Invitato dall'Institut d'Études Germaniques della capitale francese, egli decise di tenere una conferenza sull'opera dello scrittore boemo, fameux inconnu, sconosciuto ai più tra i suoi ascoltatori (non a Hannah Arendt e Walter Benjamin), ma già un "mito" in ambito letterario. Un’analisi esemplare, suggestiva e raffinata, che – però – metteva in guardia, anticipandole, dalle mode kafkiane che in campo religioso o in quello politico/sociale giustificheranno l'inversione tra colpa e pena, e che di lì a poco avrebbero conquistato la cultura e la letteratura occidentale. E in effetti, già alla sua uscita nel 1951, Kafka. Pro e contro, nato da quella conferenza parigina, appare come un atto di lesa maestà, e lo stesso Max Brod, responsabile materiale della trasmissione ai posteri di buona parte dell’opera kafkiana, lo critica aspramente, provocando una polemica che nell’edizione Quodlibet è accessibile, per la prima volta, al lettore italiano.
Anders è consapevole dell’incriticabilità del suo obiettivo: «Già Kierkegaard ha formulato in modo definitivo che la domanda: "Cosa è inderogabile in uno scrittore?" sembra essere scorretta, contro la pienezza del talento o della genialità. Ebbene appare scorretta perché è seria. Nel mio saggio, mi sono addossato l’onta di questa scorrettezza…».
La critica di Anders, passa in rassegna diversi luoghi e temi dell’opera di Kafka, dal problema della colpa alla rappresentazione dell’eroe negativo fino a quello, centrale, dell’aldilà, inteso come tensione verso un mondo sconosciuto e apparentemente ultraterreno, altro non è che questo mondo, ovvero l’aldiqua dei comuni mortali. Per Anders i personaggi di Kafka, e in particolare il K. di Il castello, sono uomini che vivono fuori dal mondo e che fanno di tutto per essere accettati dal mondo.
Anders vede un pericolo potenziale proprio in questo fare di tutto per essere accettati. L’uomo messo in scena da Kafka gli appare come un debole che, pur di entrare, è disposto a sospendere tutte le domande e le riserve sulla giustizia e sulla moralità del mondo che lo esclude. Non gli interessa che i potenti siano illiberali e che il sistema che governano sia intrinsecamente malvagio: l’unica cosa che conta per l’uomo kafkiano è entrare a far parte di quel sistema. Questo uomo disposto a tutto è per Anders il suddito ideale dei regimi totalitariper questo considera l’opera di Kafka come una minaccia, addirittura come qualcosa di potenzialmente utilizzabile a fini totalitari e liberticidi.
È probabile che questo giudizio di Anders sia un po’ troppo estremo ed è certo, perché lo dice lui stesso nell’introduzione al saggio. Tuttavia va detto. Se oggi si può dire con certezza che l’opera di Kafka (peraltro praticamente ignota ai più fino al secondo dopoguerra) non è stata utilizzata come serbatoio di immaginario per costruire regimi totalitari, all’epoca in cui Anders scriveva non si potevano coltivare simili certezze.
Eppure il racconto di Anders della genesi di Pro o contro basterebbe a farne una lettura imperdibile per chi ami o detesti (è uguale) lo scrittore praghese: «Se poi sono giunto a occuparmi di Kafka, ciò ha avuto un motivo esterno. Si verificò nel 1933. Già da alcuni mesi ero rifugiato politico a Parigi, godendo già dell’onore di essere stato derubato della mia cittadinanza tedesca per merito di Hitler; e quindi, a differenza di K., che non apparteneva ancora al Castello, io non vi appartenevo più. Così, anche agli occhi delle autorità francesi, avevo perduto la mia personalità, identità, e il diritto all’esistenza, ed ero diventato qualcosa (proprio così: qualcosa), un qualcosa di politicamente irrilevante, che non aveva propriamente il diritto di esistere, giacché nella Préfecture de Police (un vero e proprio Castello, popolato anch’esso soltanto da Klamm) l’esistenza non era dimostrata cartesianamente, ma soltanto esibendo un documento di identità. Chi non ne aveva uno, non lo otteneva. Così kafkiana era la nostra situazione di allora».
Il testo curato da Barnaba May è tradotto in italiano da Paola Gnani e, per quanto riguarda l'appendice, da Stefania Daleana.