Tra le cose più usuali che compongono la spiaggia di Rimini c’è sicuramente il Publiphono: è quello strumento fatto di altoparlanti che gli stabilimenti balneari usano per le loro comunicazioni ai bagnanti. Publiphono fa parte della memoria acustica di almeno quattro generazioni di frequentatori della riviera e a partire da questo specificità si è operata tempo fa una radicale e temporanea destinazione d’uso del mezzo. Roberto Paci Dalò, con la sua compagnia Giardini Pensili, l’ha fatto. Era il 1993 e a Rimini si svolgeva tutti gli anni il Festival "L’Arte dell’Ascolto": "Siamo andati da Ugo De Donato, il proprietario del Publiphono, un privato, – dice l’artista – e gli abbiamo lanciato un’idea un po’ strana che lui ha accolto con entusiasmo. Quel primo anno abbiamo commissionato ad artisti brevi pezzi sonori e in agosto – durante il festival – sono stati "messi in onda" coprendo per trenta minuti qualcosa come 20 chilometri di spiaggia. Questo ha avuto uno share di quasi un milione e mezo di ascoltatori e il giorno dopo un’intera pagina di Le Monde raccontava le particolari reazioni avvenute nello spazio pubblico". A questa prima esperienza ne sono seguite altre che hanno permesso addirittura di lavorare dal vivo con artisti del calibro del londinese Scanner e di Rupert Huber (insieme al dj Richard Dorfmeister, l’altra metà del mitico gruppo viennese Tosca).
Le sperimentazioni artistiche di Giardini Pensili, di cui il riutilizzo del Publiphono è solo un esempio, da un anno sono finite nel mirino del Corso di laurea in Sistemi e comunicazione della moda diretto dal prof. Mario Lupano. Il docente aveva già avviato Riminimapping, un progetto di ricognizione attravreso le molte Rimini e Roberto Paci Dalò, già docente alla Facoltà di Scienze della Comunicazione a Siena, è stato chiamato per tenere un laboratorio sugli ambienti sonori della città balneare. È nata così l’idea di Riminisoundscape, il workshop avviato lo scorso marzo e concluso con il convegno Blurring Landscapes a Rimini tra il 16 e 18 giugno 2006.
Poche lezioni teoriche in primavera, molte esplorazioni per Rimini in maggio, e infine, in giugno, una maratona per montare le immagini e i suoni raccolti. "I diciannove studenti (nessun riminese, e dall’estero era ben rappresentata la Cina) – spiega il docente – avevano una buona formazione teorica, ma praticamente nessuno di loro aveva mai usato una telecamera o un programma di editing. Con me hanno privilegiato la pratica, una pratica che non ha nulla da invidiare alla teoria, perché la nostra pratica produce filosofia".
La rilettura dei paesaggi sonori di Rimini, condotta esplorando la straordinarietà del quotidiano, ha avuto come risultato finale quattro video, prodotti da quattro gruppi di lavoro operanti in stretta sinergia, a formare un network. "Alcuni – dice Dalò – hanno privilegiato una narrazione cinematografica, alternando campi e contro campi, altri invece hanno realizzato un’esplorazione più libera. In entrambi i casi, ciò che è importante, è l’originalità dei punti di vista elaborati. Loro, "stranieri" hanno ascoltato e visto i luoghi in maniera inevitabilmente diversa. Io, riminese, in certi casi non riconoscevo i luoghi usati come set o se li riconoscevo li vedevo stranamente diversi". Questi materiali hanno generato una installazione suono-video, un sito web, un’edizione in dvd e molte pagine di appunti, schizzi, note ad opera degli studenti.
Il workshop è concluso, ma non la rete che ne è nata. Il progetto riprenderà in autunno con nuove forme di esplorazione del paesaggio. E il 23 settembre sarà inaugurato Velvet Factory, un’inedito centro dedicato a suono, immagine, performing arts e multimedia creato su un’area di 2500 metri quadrati all’interno dell’omonima discoteca e club riminese (un luogo di culto per la musica dal vivo). "Sarà una partnership originale – anticipa Paci Dalò – che vedrà collaborare tra gli altri anche la nostra compagnia e l’Università di Bologna. Ci sarà un laboratorio di post-produzione e anche alloggi per ospitare gli artisti in residenze creative". "Abbiamo già fatto un sopralluogo con alcuni studenti – conclude Dalò – eVelvet Factory potrebbe diventare anche un luogo per la didattica e, perché no, per creare inedite possibilità lavorative".