"Una nuova epidemia – afferma Maria Pia Fantini, professore associato del Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica all'Università di Bologna e membro del Comitato Direttivo Scuola Superiore di Politiche per la Salute – che sta colpendo tutto il mondo con punte più alte nei paesi industrializzati. Specialmente in un contesto, quello del taglio cesareo, in cui non sono ancora chiari i vantaggi e gli svantaggi". In Italia i tagli cesarei rappresentano il 38% del totale dei parti, una percentuale molto al di sopra del 20% consigliato dal Ministero della Salute.
Questo è quanto emerge dal convegno Cesarean Delivery al quale hanno partecipato i massimi esperti in tema di taglio cesareo, organizzato da Università degli Studi di Bologna e Azienda USL di Bologna, conclusosi lo scorso 9 maggio.
Appare sempre più evidente come "nei paesi che presentano elevati tassi di mortalità e quindi un sistema sanitario meno evoluto – afferma Corrado Melega, direttore del Dipartimento Materno Infantile AUSL di Bologna e presidente della Commissione Parto dell’Emilia Romagna - il taglio cesareo è una garanzia, ovvero a più alte percentuali di taglio cesareo corrispondono più bassi tassi di mortalità materna, infantile e neonatale; nei paesi invece con bassi livelli di mortalità e quindi con un sistema sanitario evoluto al di sopra di una proporzione di taglio cesareo del 15 - 20%, i rischi per la salute riproduttiva superano i benefici".
"Proprio perchè laddove i sistemi sanitari sono evoluti e garantiscono sicurezza – afferma Nicola Rizzo, direttore Medicina dell'Età Prenatale Policlinico S. Orsola-Malpighi - il taglio cesareo non può essere più inteso come uno strumento di garanzia contro eventuali eventi avversi, ma deve essere utilizzato solo quando le condizione cliniche assolutamente lo richiedono. Dove invece i sistemi sanitari hanno delle carenze, allora il taglio cesareo in determinati casi può essere strumento di tutela della salute della donna e del bambino."
Alla luce di queste affermazioni è fondamentale il grado di informazione della donna che deve essere informata su tutte le possibilità e conseguenze che un parto cesareo comporta. "In un Paese, l’Italia -afferma Simona Lembi assessore alle Pari Opportunità della Provincia di Bologna - in cui nascono di media 1,2 bambini per famiglia il parto sta acquistando sempre più un’importanza epocale, e il grado di attenzione è giustamente massimo, tanto che le prestazioni diagnostiche e sanitarie legate a quest’evento sono aumentate in maniera esponenziale passando da un parto del sentire, ad un parto del vedere, dalle mani dell’ostetrica all’ecografia. Dove i sistemi sanitari lo consentono, come da noi è bene quindi che la scelta del cesareo non sia solo una scelta cautelativa".
Le donne, d'altronde, sembrano preferire il parto naturale. Dall’ultima indagine multiscopo "Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari", condotta dall’ISTAT su 60.000 famiglie italiane è emerso che le donne preferiscono nettamente partorire in modo spontaneo (87,7%). Mentre fra quante hanno avuto un parto spontaneo con o senza anestesia solo il 5% avrebbe preferito fare un cesareo se avesse potuto scegliere, e tra le donne che hanno avuto un taglio cesareo la maggior parte, il 75%, avrebbe preferito il parto naturale.
L’aumentato ricorso al taglio cesareo è un fenomeno sanitario comune alla maggior parte dei paesi industrializzati, ma la proporzione italiana, pari al 38%, si distacca notevolmente dalla media europea (23,7%) e rappresenta uno tra i valori più elevati al mondo. Dal 1999 al 2004 si è continuato a registrare in Italia un incremento della proporzione del taglio cesario, pari a 5 punti percentuali.
La percentuale di tagli cesarei eseguiti nel mondo è mediamente del 15%. Le percentuali più elevate si registrano nei paesi industrializzati, in America Latina e nei Paesi Caraibici, le percentuali più basse si registrano invece nei paesi cosiddetti in via di sviluppo.
Tra le regioni italiane invece, considerando il valore di riferimento individuato dal Ministero della Salute, solo la Provincia Autonoma di Bolzano con un tasso del 17,3% ha una percentuale inferiore a quella raccomandata dal Piano Sanitario Nazionale. Per quanto riguarda le restanti regioni si registra una notevole variabilità interregionale, con le regioni del Nord che presentano complessivamente valori più bassi (28,8%) e quelle del Sud con valori decisamente molto superiori (51,4%).
In Emilia-Romagna, diminuisce la frequenza dei parti cesarei (dal 30.8% al 29.8%); stabile la frequenza di parti per via vaginale: 68.1% nel 2003, 68.0% nel 2004, 67.9% nel 2005 e 68.1% nel 2006. Da segnalare inoltre un lieve incremento dei parti operativi (quasi esclusivamente con ventosa): 1.1% nel 2003, 1.4% nel 2004, 2.0% nel 2005 e 2.1% nel 2006.
Si registra poi un certo scostamento tra donne italiane e donne straniere nell’effettuazione del taglio cesareo: il 17% delle italiane rispetto al 11,5% (con una scostamento di oltre il 5%) delle donne straniere effettuano un taglio cesareo fuori dal travaglio e non urgente.