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Solidarietà e utopia: un libro per la storia degli Angeli del Fango

Un volume, edito dalla Clueb e realizzato su iniziativa del Comitato bolognese Angeli del Fango, racconta con documenti e testimonianze dirette la storia straordinaria dei giovani studenti bolognesi che andarono volontari a Firenze dopo l'alluvione del '66
Ted Kennedy e gli studenti Bolognesi a Firenze

Quando il 4 novembre 1966 una devastante alluvione ricoprì di melma Firenze e mise in ginocchio l’Italia, furono tanti gli universitari e liceali di Bologna che accorsero per aiutare i soccorsi e salvare il patrimonio culturale del capoluogo toscano. Quei giovani vennero ribattezzati Angeli del Fango.

I loro ricordi e le loro testimonianze, assieme ai tanti documenti che raccontano quelle giornate, sono raccolte ora in un libro: "Solidarietà e utopia: Bologna, gli Angeli del Fango e le alluvioni del 1966" (Clueb, 2009), che sarà presentato il prossimo venerdì 27 novembre, alle 16,30 nella Sala dell'Ottavo centenario in Rettorato (via Zamboni, 33). Tra letture di testi e proiezioni di documenti, ne parleranno, insieme agli autori Maria Iacuaniello, Eleonora Pantano ed Enrico Bollino, anche tanti altri ex angeli del fango e protagonisti di quei giorni: Roberto Grandi, Mario Pantano, Guido Fanti (all’epoca sindaco di Bologna), Giovanni Menduni, Carlo Monti, Adriana Lodi (assessore nel ’66), Fernando Bollino, Umberto Mazzone, Valerio Toselli, Luciano Zappoli. "Quella degli Angeli del Fango - ricorda Carla Faralli in rappresentanza del Rettore - è una storia fatta da persone comuni che hanno svolto un ruolo molto importante, all'insegna della solidarietà".

Gli autobus dell’Atc - quelli urbani coi corrimano e i sedili di legno - fecero per giorni la spola gratis tra le due città, pieni di volontari. File di giovani in piazza Maggiore si sottoponevano prima di partire alla vaccinazione "polivalente", organizzata dall’Ufficio igiene del comune, contro il rischio di infezioni. "Io andai subito - racconta Stelio Iacuaniello, che allora aveva 24 anni ed era uno studente del quarto anno di ingegneria civile - saltai sul primo treno, vestito con un vecchio maglione e vecchie scarpe, senza neppure un cerotto o un tubetto di aspirine. Solo dopo mi resi conto di quanto fossi stato incosciente".

La centrale operativa per la mobilitazione dei giovani bolognesi, che si protrasse fino al Natale, fu l’Orub, la capillare e ben finanziata organizzazione studentesca dell’epoca. "Ricevemmo le prima drammatiche notizie da Firenze via telefono, da alcuni nostri colleghi di Giurisprudenza che erano là per una riunione nazionale, quando ancora i notiziari di radio e tv stentavano a rendere la vera portata dell’accaduto" racconta Carlo Monti che allora dell’Orub era presidente. "Eravamo i più vicini al capoluogo toscano. Alcuni partirono immediatamente. Altri si misero al lavoro e nel giro di pochi giorni mettemmo in moto un’organizzazione imponente. La città fu solidale. Ci aiutò il Comune, l’Azienda di trasporti, l’Università che ci fornì materiale (stivali, tute). Molti studenti erano pendolari del soccorso. Si partiva la mattina e si rientrava la sera. Dopo i primi giorni i pullman presero il posto degli autobus. A Firenze molti venivano indirizzati dall’esercito alla Biblioteca nazionale, a recuperare dagli scantinati caterve di libri sepolti dal fango, ripulirli, asciugarli. Ma ci fu anche un gruppo di studenti di Farmacia che passò molto tempo in un capannone di Firenze per fare una cernita fra le tante confezioni di medicinali che erano stati donati, spesso fondi di magazzino scaduti e pericolosi. Pure a Bologna la macchina dei soccorsi girava a ritmo incessante. Il rischio di infezioni era alto, per cui le tute degli studenti impegnati nei luoghi più pericolosi andavano disinfettate. Ricordo che al ritorno degli autobus le ritiravo e le portavo nella parrocchia universitaria, dove un gruppo di preti e studenti passava ore di notte a sterilizzarle e asciugarle, perché fossero pronte per la partenza della mattina".

Furono anche giorni di amicizie spontanee e aria nuova. "Partii da solo, ma a metà percorso vidi Turi Pantano, uno studente di Economia che conoscevo. Durante quei giorni diventammo inseparabili - dice ancora Stelio Iacuaniello - rimasi quattro o cinque giorni. Non mi ero portato nemmeno una borraccia d’acqua, uno spazzolino da denti. Per il mangiare ci pensavano i militari, che distribuivano panini e qualche bevanda. La notte dormivamo nelle cuccette di treni, allestiti come ricovero, sui binari di scalo. Non sapevi chi ti dormisse accanto, e chi avesse usato le tue coperte la notte precedente. Per bere e lavarsi c’erano le fontanelle della stazione. L’ultima sera, dopo il lavoro, infangati come eravamo, per distrarci un po’ e non rientrare subito nello squallore dei vagoni, Turi e io ci incamminammo in una stradina verso la collina. Lungo la via ci imbattemmo per caso in uno studentato-convitto gestito da frati. Non ci pensammo due volte. Suonammo, ci accolsero, ci offrirono un pasto caldo, delle magnifiche fiorentine con l’osso e una celletta ciascuno per riposare. Tra i ricordi migliori di quei giorni conservo quello dell’accoglienza cordiale dei frati. E quello delle lenzuola pulite in cui dormii quella notte".

"In quel periodo - racconta ancora Monti - ero convinto, ingenuamente, che l’Orub, con la sua efficienza, si fosse guadagnato stima nella città e soprattutto fra gli studenti. In realtà proprio l’esperienza dell’alluvione di Firenze avviò nel nostro ateneo il superamento delle forme tradizionali di rappresentanza studentesca. L’incontro tra giovani di tanti paesi e di idee politiche diverse per un lavoro urgente e comune; il cameratismo, la fatica fisica, la conquista di leadership sul campo, la scoperta di grandi problemi sociali, la voglia di libertà; questi e altri elementi di novità anticiparono a Bologna fenomeni di cambiamento che sarebbero poi esplosi con la grande ondata di contestazione del 1968".

"In quella situazione - spiega Fernando Bollino, docente dell'Alma Mater e altro testimone della vicenda - si coagulò un'evoluzione dell'essere giovani: da una serie di soggettività separate nacque un 'essere noi', i giovani si riconobbero uniti da un'identità comune. Fu un fenomeno decisivo". E un pensiero va anche all'oggi. "Questo libro - dice il coordinatore del progetto Mario Pantano - vuole essere anche uno stimolo per i ragazzi di oggi, perché le radici sociali, culturali e politiche ci sono. Basta soltanto innaffiarle perché possano crescere". Il libro, frutto di una lunga e appassionata ricerca, è stato realizzato su iniziativa del Comitato bolognese Angeli del Fango - l’associazione che dal 2006 riunisce i volontari bolognesi delle alluvioni del ’66 - e pubblicato da Clueb, Cooperativa libraria universitaria editrice bolognese.