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Le virtù civili: intervista a Pier Luigi Celli

E' il titolo del ciclo di incontri promossi dalla Fondazione Hospice Seràgnoli con l'Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa. Ce lo racconta Pier Luigi Celli, protagonista dell'ultimo incontro, il 2 dicembre prossimo

Anche quest’anno la Fondazione Hospice Seràgnoli e l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa organizzano un ciclo di incontri a tema con il patrocinio dell’Università di Bologna. Al centro del programma 2010 c'è l'argomento Le virtù civili. L'11 novembre toccherà a don Luigi Ciotti  parlare di Solidarietà e il 2 dicembre chiuderà il ciclo Pier Luigi Celli affrontanto il tema del Coraggio.

Dottor Celli, il ciclo di incontri a Tema di quest'anno si intitola "Le virtù civili". A parlarne oltre a lei e don Luigi Ciotti, Gustavo Zagrebelsky, Salvatore Veca. Quali i punti in comune delle vostre riflessioni?

"Ci sono momenti della storia delle organizzazioni e, più in generale delle comunità allargate, in cui, a contrastare lo sfilacciamento del tessuto sociale e il degrado delle relazioni e di comportamenti, serve un richiamo forte a valori un tempo condivisi ed ora abbastanza negletti".

La competitività o meglio il suo eccesso sta sotterrando le regole del vivere civile e le stesse virtù?

"Competere è una delle regole del gioco nel mercato. Il problema è farlo secondo schemi trasparenti e, possibilmente, controllati".

L'indifferenza per il commissariamento di Bologna per oltre un anno, quella davanti al corpo della donna a terra dopo il litigio per futili motivi nella metropolitana di Roma: sono segnali di virtù civili che si vanno dissolvendo?

"L’indifferenza è la componente inevitabile delle scelte e della cultura individualistica che sta dissestando il tessuto civile del paese. Riflette il ripiegamento su una logica di interessi particolari, la ricerca di vantaggi personali comunque agganciabili, anche a spese di altri. Una disposizione verso modalità opportunistiche e a logiche tipicamente predatorie. Qualunque cosa succeda".

Come e a chi spetta il compito di risollevarne il valore e l'esercizio?

"La responsabilità è di tutti, anche se detta così è come rassegnarsi a risposte di modesta portata pratica. Bisognerebbe tornare a formare coscienze prima ancora di insegnare cose. Credo, comunque, che con un po’ di buona volontà si debba cominciare dai giovani, da scuola e dall’Università. E impegnare nel tempo a farsi carico di questa missione".

Coraggio è il tema che lei tratterà in questo ciclo? Ci fa qualche anticipazione?

"Il coraggio è una virtù ambivalente. Va esercitato e va temperato. E’ difficile avere coraggio senza sperimentare la paura e senza capire esperienzialmente cosa vuol dire accettare dei rischi".

Quasi un anno fa una sua lettera aperta a suo figlio, sull'opportunità o meno di restare in questo Paese, divise l'opinione pubblica. Coraggio di andare o di restare?

"Il coraggio di restare va salvaguardato: senza nascondere cosa può comportare. Ma noi, nei riguardi dei nostri figli, non possiamo onestamente, decidere che non ci sono alternative. Detto questo, la lettera era nata per far discutere di un tema (la brutta piega che il mercato del lavoro sta prendendo) che andava sollevato. Qualche effetto lo ha avuto".

A che punto è dopo un anno quella riflessione sul nostro Paese?

"Misure vere non se ne vedono ancora. Ma la coscienza del problema è cresciuta, anche nella stampa. E ci sono in giro iniziative e progetti che aprono qualche speranza".