Sogni, cadute, allucinazioni compaiono di frequente nell’opera di Dante tanto che nel corso degli anni numerosi studiosi hanno tentato di darne una spiegazione. Non è passata sotto silenzio la tesi di Cesare Lombroso, il discusso inventore dell’antropologia criminale, il quale ha sostenuto che Dante soffrisse di epilessia. La sua affermazione è stata in grado di scatenare accese polemiche e ha diviso, nel corso degli anni, gli studiosi di varie discipline. A mettere un po’ di pace nella contesa arriva ora una nuova teoria, opera di un neurologo dell’Università di Bologna Giuseppe Plazzi che, analizzati i sintomi del "paziente", arriva a tutt’altra diagnosi: Dante probabilmente soffriva di narcolessia.
Plazzi non è Lombroso e ben lungi da cercare una qualche connessione tra la biografia medica di Dante e le "teorie del genio" si limita a spiegare, con argomenti solidi e prudenti, la matrice possibile di alcune descrizioni dantesche riconducendole alla patologia.
Non solo il sonno è usato come espediente letterario per raccontare il suo viaggio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, ma sono frequenti i momenti in cui il poeta descrive il suo dormire (Io non so ben ridid com’i v’intrai/tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai), i sonnellini brevi e ristoratori (Come persona ch’è per forza/desta e l’occhio riposato interno/mossi) e la debolezza muscolare scatenata da emozioni che provoca anche vere e proprie cadute (caddi come corpo morto cade).
"L’insieme di questi segni – afferma Plazzi – presenti non solo nella Divina Commedia, ma in tutta l’opera di Dante è tipico della narcolessia una rara malattia neurologica descritta a fine Ottocento che colpisce quattro persone ogni dieci mila abitanti ed è clinicamente caratterizzata da attacchi di sonno e cataplessia (cedimenti del tono muscolare scatenati da forti emozioni), paralisi del sonno (sensazione di non riuscire a muoversi al momento del risveglio) allucinazioni e da un sonno notturno interrotto da molti risvegli".
Una tesi che non solo appare incontrare accoglienza tra autorevoli studiosi (tra gli altri Emilio Pasquini e Mirko Tavoni), ma finisce anche per riconciliare filologi e neurologi alla ricerca di una conoscenza più approfondita della vita e delle opere di Dante.