Saper riconoscere i movimenti ingannevoli del corpo è di fondamentale importanza nelle competizioni sportive. Così come il saper capire, grazie ad indizi corporei, se un sorriso è falso oppure no. Quali sono i meccanismi nervosi che ci consentono di riconoscere le azioni e intenzioni malevole basate sull'inganno? La risposta arriva da uno studio coordinato da Alessio Avenanti, neuroscienziato del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Bologna, che mostra come il riconoscimento di azioni ingannevoli non avviene in regioni del cervello particolarmente sofisticate (cioè nelle aree legate alla comprensione degli stati mentali, il cosiddetto circuito del mentalizing), ma nel sistema motorio, ovvero quella parte del cervello che ci permette di muovere il corpo. In pratica il cervello utilizza meccanismi rudimentali, simulando internamente le azioni dell'altra persona, per avere risposte immediate ed efficaci: usa cioè il sistema motorio che, funzionando in maniera anticipatoria, consente di comprendere le strategie di chi ci sta di fronte.
Lo studio è stato condotto nel laboratorio del professor Avenanti presso il Centro studi e ricerche in Neuroscienze cognitive del Polo scientifico-didattico di Cesena dell’Alma Mater ed ha coinvolto circa 140 volontari sani assegnati a diversi esperimenti. Nello studio è stata usata la stimolazione magnetica transcranica (TMS), una tecnica che permette di stimolare in modo non invasivo i neuroni attraverso l’applicazione di campi magnetici sullo scalpo.
Mediante TMS è stato possibile stimolare la corteccia motoria e valutarne la reattività durante l’osservazione di un attore che sollevava alcune scatole visivamente identiche ma di peso diverso. In alcuni casi l’attore sollevava la scatola col peso reale, in altri fingeva che il peso fosse maggiore o minore. I partecipanti dovevano capire se l’attore li stava ingannando.
I risultati dello studio hanno mostrato che la corteccia motoria di chi osserva si attiva in modo altamente specifico, "simulando" internamente i movimenti dell’attore e il suo sforzo apparente. Non solo. "Durante la visione di azioni ingannevoli, come quando viene sollevata una scatola leggera come se pesasse molto, - spiega Emmanuele Tidoni, giovane ricercatore dell’Università di Roma La Sapienza, cofirmatario dello studio - il sistema motorio inizierebbe a simulare le prime fasi del movimento e in tempi brevissimi arriverebbe a predire le fasi successive. Quando però si rileva qualcosa nel movimento che viola la predizione iniziale (ad esempio un piccolo aumento di velocità), nel sistema motorio si viene a creare un segnale di errore ("predizione errata: quella scatola non è pesante!") che raggiunge la rappresentazione corticale di quelle parti del corpo che non si sono mosse come inizialmente stimato".
Mediante TMS i ricercatori sono stati dunque in grado di rilevare l'attività nervosa nel sistema motorio che riflette la predizione iniziale e il segnale d'errore associato alla rilevazione dell'inganno. Ma per dimostrare che questi segnali sono anche di fondamentale importanza per la percezione, la TMS è stata usata per interferire con aree del sistema motorio (la corteccia premotoria ventrale) e del mentalizing (la giunzione temporo-parietale) mentre i partecipanti osservavano le azioni dell’attore. Si è visto che solamente la stimolazione di aree motorie comprometteva la capacità di riconoscere le azioni ingannevoli. "Questo duplice approccio - spiega il prof. Avenanti - non solo ci ha permesso di rilevare cosa accade nel cervello, ovvero la simulazione dell’azione osservata, ma anche di dimostrare che questa è fondamentale per il corretto riconoscimento delle intenzioni ingannevoli. Questo suggerisce un ruolo attivo del sistema motorio in aspetti piuttosto complessi della cognizione sociale, fino ad oggi attribuiti a regioni del cervello molto più evolute".
Oltre a Tidoni e Avenanti, hanno partecipato alla ricerca Sara Borgomaneri, dottoranda in neuroscienze cognitive e il prof. Giuseppe di Pellegrino, entrambi del Dipartimento di Psicologia e del Centro cesenate dell’Università di Bologna.