Dal 1957 una missione archeologica italiana opera a Hierapolis, nella Frigia meridionale, in Turchia, per ricostruire una storia unica di interazione tra uomo e natura, in cui il sacro costituisce l’elemento centrale, in età pagana come in epoca cristiana. Una storia che sarà raccontata questo sabato, 2 marzo, dalle 16,30, al Museo Geologico "Giovanni Capellini", da Giuseppe Scardozzi dell'Istituto per i beni Archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche.
Quando nel III sec. a.C. i Seleucidi decisero di fondare una città sul terrazzo di travertino che si affaccia sulla valle dell’antico Lykos, affluente del Meandro, presso l’attuale Pamukkale, nella Turchia sud-occidentale, non scelsero, come altrove, una denominazione derivata dal nome di un loro re, come nelle varie Antiochia o Seleucia dell’Asia Minore, né quello di una loro regina, come nella varie Laodicea, ma, affascinati dalle caratteristiche del sito, la chiamarono Hierapolis, Città Sacra. Nel luogo esisteva infatti una grotta sacra alla dea madre delle popolazioni anatoliche, Cibele, corrispondente ad una grande spaccatura del terreno prodotta dalla faglia sismica che attraversa longitudinalmente tutto il terrazzo di Pamukkale.
I coloni greco-macedoni che furono inviati a Hierapolis adottarono come principale divinità della città l’Apollo Archegete, che li aveva guidati, e costruirono il suo santuario sulla faglia sismica, presso l’antica grotta di Cibele, che divenne invece il luogo sacro a Plutone e Kore, identificato con l’accesso all’Ade. L’area sacra costituì il cuore della città che venne pianificata regolarmente attorno ad essa.
Questo è l’inizio di una storia di più di mille anni di interazione tra le peculiari caratteristiche geomorfologiche del sito e le popolazioni, prima greche, poi romane e infine bizantine che si succedettero nell’abitare una città più volte colpita da rovinosi terremoti e costantemente restaurata e ricostruita attorno al suo cuore sacro, dove i sacerdoti della città davano responsi oracolari dopo aver respirato i gas velenosi che si sprigionavano dalla faglia sismica o eseguivano spettacolari sacrifici in cui grandi tori stramazzavano al suolo morti intossicati dalle stesse esalazioni.
Per la sua complessitè e peculiarità, la missione archeologica di Hierapolis ha portato negli ultimi anni a sviluppare una specifica linea di ricerca che vede affiancati archeologi, geologi ed esperti di sismicità storica che cercano di studiare e scrivere in stretta integrazione questa storia, quella di un sito oggi parzialmente coperto dalle affascinanti bianche cascate di calcare di Pamukkale prodotte dalle acque fuoriuscite dalla faglia sismica dopo l’abbandono della città.
Direttore della missione archeologica italiana è Francesco D’Andria (Università del Salento). La ricerca è svolta congiuntamente dall’Istituto per i beni Archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche e dal Dipartimento di Scienze della terra dell’Università della Calabria.