Vanno in giro con un erbario in una mano e con un "Dizionario di erbe medicinali in bolognese" nell’altra. Intervistano gli anziani del centro diurno e dei centri sociali di varie zone dell’Appennino per farsi raccontare storie sulle piante. Storie delle specie che si possono raccogliere spontaneamente sull’Appennino bolognese e dei rimedi usati per curare i disturbi degli uomini e degli animali. Sono i giovani dottorandi e borsisti del prof. Ferruccio Poli, impegnati in quella che in termini scientifici si chiama etnobotanica, una "disciplina di confine" che studia gli usi e le utilizzazioni popolari delle specie vegetali.
Si tratta del primo stadio di un vasto progetto, finanziato dalla Fondazione Carisbo per 15 anni, attraverso cui i ricercatori stanno studiando le piante medicinali del territorio bolognese e gli usi che tradizionalmente ne facevano i nostri nonni. Da questo studio etnobotanico verranno selezionate le piante più interessanti per un approfondimento fitochimico e biotecnologico. Questo permetterà di studiare la produzione di composti bioattivi in piante medicinali e in colture in vitro da esse derivate.
"In particolare abbiamo studiato la Teucrium chamaedrys chiamata Querciola o Camaedrio– ci racconta il prof. Poli - usata come digestivo e poi ritirata dalla circolazione perché epatotossica. In realtà l’epatotossicità deriva da una estrazione alcolica del principio attivo praticata dall’industria che non era presente in altri tipi di lavorazioni artigianali come quelli, ad esempio, praticati nei monasteri per ricavare dalla pianta liquori e digestivi. Quella che stiamo sperimentando è una coltivazione in provetta di cellule in modo che il Teucrium chamaedrys, non sviluppi la componente dannosa indipendentemente dalla modalità di estrazione del principio attivo".
Nell’equipe del professor Poli lavorano Fabiana Antognoni, Francesca Calandriello, Manuela Mandrone, Carmelina Iannello, Beatrice Lorenzi, Martina Marcantoni, Lucilla Scarnato e Luca Cornioli.