Ciao Giulia, raccontaci di cosa ti occupi?
Di storia ed archeologia del mondo bizantino. In particolare, sto svolgendo una ricerca sui cantieri edilizi e le officine artigianali della tarda antichità, ovvero del periodo compreso tra il IV e il VII secolo d.C., un momento di profondo cambiamento per il mondo mediterraneo, con la diffusione della religione cristiana e la dominazione dell’impero di Costantinopoli.
Quando hai deciso di far ricerca?
Alla fine del secondo anno della laurea triennale, dopo il primo scavo, a Creta, quando ho scoperto la passione per questo lavoro.
Cosa ti appassiona di quello che studi?
Tantissimi sono gli aspetti che mi appassionano. In primo luogo la “materialità” del lavoro archeologico. Lavorare sul campo permette di “toccare con mano” l’oggetto del nostro studio. La ricerca scaturisce infatti dall’esigenza di capire ciò che si è portato alla luce durante lo scavo. E senza questa multidisciplinarietà - fatta di lavoro fisico e di lavoro intellettuale, di studio dei manufatti e studio delle fonti scritte - essa non raggiunge i suoi obbiettivi. Un’altra cosa che apprezzo particolarmente è che il nostro, spesso, è un lavoro di équipe, dove il confronto con docenti e colleghi è essenziale per la formulazione di nuove ipotesi e la realizzazione di nuove scoperte.
Cosa pensi prima di andare a dormire la sera?
Alle piccole-grandi “imprese” della giornata, e a quanto sono stanca!
E quando ti svegli al mattino?
Alle mille cose che mi aspettano… e al primo caffè.
Quale scoperta/invenzione pensi possa rivoluzionare il tuo ambito di ricerca nei prossimi cinque anni?
Il nostro lavoro è fatto di continue scoperte. Ogni giorno professionisti impegnati sul territorio contribuiscono a portare alla luce nuovi “pezzi” di storia. Penso che una grande rivoluzione consista nel riconoscimento di questa professionalità e in un vero e concreto impegno, da parte delle istituzioni preposte, alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale.
Una cosa che hai imparato facendo ricerca?
Ad usare gli occhi. Penso che la vista sia il primo senso che un ricercatore debba “allenare”. Sullo scavo, per riconoscere ciò su cui stai lavorando e che stai portando alla luce. Davanti ai libri, per comprendere davvero ciò che stai leggendo, trovare nessi con ciò che già è noto e dare in questo modo un vero contributo culturale.
Sei un ricercatore da adottare. Cosa vorresti dire ai tuoi sostenitori?
Che senza storia non c’è futuro. E che l’arte e la cultura rappresentano la vera, grande ricchezza del nostro paese. Ma questo patrimonio finirà per esaurirsi se non si sosterrà in modo concreto l’impegno di chi opera quotidianamente per la sua conoscenza e valorizzazione.