Migliorare le strutture, aggiornare le competenze professionali dei docenti, insistere sull’importanza dell’integrazione dei bambini già da piccoli, incentivare misure di welfare perché anche i più emarginati possano andare a scuola materna. Sono queste le sollecitazioni che emergono dalla ricerca sui servizi educativi per l'infanzia in Kosovo, svolta da un gruppo di studiosi del Dipartimento di Scienze dell'Educazione (Lucia Balduzzi, Giannino Melotti, Paola Villano, Francesca Emiliani) in collaborazione con l'ONG Save The Children e l'Università di Pristina (Faculty of Education).
Lo studio, intitolato “Early Childhood Care and Development Situation Analysis”, è la prima analisi sulla popolazione kosovara che usufruisce dei servizi per l'infanzia (nella fascia dagli zero ai sei anni). Grazie ad essa saranno modificati sia i curricola formativi universitari in Kosovo, sia le direttive ministeriali in ambito educativo sulla fascia d'età dagli zero a i tre anni. E viene toccato anche il tema dell'inclusione sociale di bambini appartenenti a minoranze disagiate, come quella Rom.
Lo studio, condotto dall’Università di Bologna insieme all’Università di Pristina e a Save the Children, si è articolato in tre fasi: un primo sguardo sui documenti ufficiali e il quadro normativo del paese per ciò che riguarda l'educazione primaria, una seconda parte svolta sul campo, con visite in scuole materne e asili nido sia pubblici che privati, interviste ai politici e alle ONG presenti sul territorio e in chiusura uno studio più approfondito in cinque città (Pristine, Prizren, Mitrovicë/Mitrovica, Gjilan/Gnjilane e Peja/Pec) in cui sono stati somministrati questionari ai docenti e sono stati ascoltati i genitori dei bambini.
I risultati
Il Kosovo è un paese con la popolazione tra le più giovani d’Europa: il 30% degli abitanti è sotto i 15 anni e solo il 7% è sopra i 65. La ricerca ha analizzato il sistema educativo della prima infanzia e ha riscontrato una risposta minima della scuola alle esigenze sociali (solo il 3% della popolazione frequenta l'anno prescolare), complici la scarsa sensibilizzazione delle famiglie, gli edifici inadeguati e il modo di rapportarsi alle esigenze dei bambini.
Inoltre, attingendo ai dati trovati dal Ministero dell'Educazione negli anni 2012-13, i ricercatori hanno riscontrato una situazione non proprio inclusiva: solo l'1,6 % dei bambini al nido appartiene a gruppi etnici diversi da quello albanese, e solo 37 su 5389 appartengono alle comunità Rom, Ashkali e Egiziana. Per i bambini emarginati il quadro è ancora più fosco: non ci sono dati attendibili sulle scuole materne e nell'anno prescolastico sono risultati solo 18 i bambini con necessità particolari.
Scenari di cambiamento
Partendo dai risultati trovati, la ricerca individua dei possibili scenari di cambiamento.
Il primo punto è la considerazione che sono pochi sono i bambini sotto i due anni che frequentano gli asili nido. Si prefigura allora la possibilità di lavorare su questo gruppo d'età, sensibilizzando le famiglie sull'importanza di far integrare i bambini già da piccoli e diminuendo i pregiudizi (spesso quello di dire “non è necessario mandare i figli così piccoli all'asilo”).
Per i docenti sarebbe necessario ripensare alla formazione professionale, con un aggiornamento costante di conoscenze e competenze professionali, in particolare accademiche. Affiancare quindi una conoscenza più teorica all’esperienza che sono abituati a costruirsi sul campo.
Un altro risultato da ponderare è l'alto numero di presenze nell'anno precedente la scuola elementare di bambini appartenenti a classi medio-alte. Una possibile risposta sarebbe quella di incentivare misure di welfare che tendano a far iscrivere anche i bambini provenienti da situazioni disagiate, in modo da farli partecipare alla vita scolastica permettendo loro una facile integrazione.