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Una giornata per ritrovare il Teatro di Massa

Doppio appuntamento al Dipartimento delle Arti per riscoprire il genere teatrale che per la prima volta fece salire sul palcoscenico o invadere gli stadi, a centinaia, quando non a migliaia, i protagonisti delle lotte sociali

Martedì 25 novembre, il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, dedica una giornata al Teatro di Massa. Il progetto, a cura di Laura Mariani in collaborazione con Fondazione Duemila e parte della rassegna Cimes, prevede al mattino un convegno di studi sul teatro di massa con specialisti, testimonianze e con i canti del Coro delle mondine di Porporana. Al pomeriggio, poi, ci sarà la presentazione della convenzione tra Dipartimento delle Arti e Fondazione Duemila per la catalogazione e messa online dei materiali degli archivi di Marcello Sartarelli e Luciano Leonesi, con l’ascolto di un frammento di un radiodramma dei fratelli Taviani, “Ruffo ‘60” in cui si narra la messa in scena di uno evento di teatro di massa, e la visione di un documentario sullo spettacolo “Sulla via della libertà”, regia di Sartarelli, realizzato a Bologna nel 1950 con la partecipazione di 500 tra operai, mondine, braccianti, studenti. Entrambi gli incontri si terranno nella sede del Dipartimento delle Arti, a Palazzo Marescotti.

Il Teatro di Massa è un genere teatrale apparso all’inizio del Novecento in paesi e forme diverse. In Italia il suo creatore fu Marcello Sartarelli: per la prima volta si videro salire sul palcoscenico o invadere gli stadi, a centinaia, quando non a migliaia, i protagonisti delle lotte sociali. Questo fenomeno conobbe fra il 1949 e il 1953, un'espansione contagiosa nell’Italia centrosettentrionale. Sartarelli ne inventò il linguaggio mutuandolo in parte dal cinema. Dietro il suo impulso divennero autori e registi Valentino Orsini, i fratelli Taviani, Giuliano Montaldo, Luciano Leonesi ed altri.

Numerosi furono i professionisti dello spettacolo che in tali esperienze si formarono. Il Teatro di Massa ha aperto spazi culturali imprevisti e fecondi al di là della sua durata ma non ha trovato sufficienti spazi nella storiografia teatrale e non, con l'eccezione di Gianni Bosio e Claudio Meldolesi. Proprio Meldolesi, che ne ha scritto in Fondamenti del teatro italiano, ne ha sottolineato il carattere precorritore, collegandolo ai successivi teatri di interazione sociale.