Le donne colpite da un attacco cardiaco attendono troppo tempo prima di chiedere o ricevere i soccorsi e pertanto avere un trattamento adeguato. È quanto emerge da una ricerca guidata da Raffaele Bugiardini del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna, presentata al simposio annuale dell’American College of Cardiology che si è tenuto il mese scorso a San Diego, in California.
Lo studio che ha suscitato grande interesse tra il pubblico di cardiologi americani presenti al congresso, cerca di dare una risposta ad un problema ancora irrisolto: il tasso di mortalità da infarto miocardico estremamente superiore nelle donne rispetto agli uomini, a parità di trattamento sanitario ricevuto. Secondo i ricercatori guidati dal team dell’Alma Mater la causa è il ritardo preospedaliero.
Esaminando i dati ricavati dal registro internazionale ISACS-TC, su 7.457 pazienti europei ricoverati tra il 2010 e il 2014, i ricercatori hanno rilevato come le donne colpite da infarto miocardico abbiano una probabilità quasi doppia di morire, in ospedale, rispetto agli uomini, con una incidenza di decessi di circa il 12% contro il 6% degli uomini. Ma questa differenza di mortalità non è dovuta ad un diverso trattamento ospedaliero. Una volta che i pazienti vengono ricoverati, non si osservano differenze tra uomini e donne nel tempo al trattamento con un farmaco che agisce sui coaguli sanguigni (26 minuti per gli uomini e 28 minuti per le donne) o all’angioplastica (45 minuti per entrambi). Inoltre, gli uomini e le donne che arrivano in ospedale entro 60 minuti dall’inizio dell’attacco cardiaco e che ricevono rapidamente un trattamento, mostrano una incidenza simile di sopravvivenza.
“Il fattore di rischio principale di mortalità per le donne è il ritardo pre-ospedaliero, cioè il tempo che passa prima del ricovero in ospedale”, osserva Raffaele Bugiardini. La prima delle cause è dovuta proprio al ritardo nel comprendere i sintomi dell’infarto e chiamare i soccorsi. In media le donne attendono un’ora prima di chiamare il pronto intervento rispetto a 45 minuti degli uomini. Ma il fatto più grave è che dopo avere chiamato i soccorsi più del 70% delle donne nello studio hanno impiegato più di un’ora per raggiungere l’ospedale, rispetto a meno del 30% degli uomini.
“I ritardi pre-ospedalieri rimangono inaccettabilmente lunghi nelle donne”, continua Bugiardini. “Per circa dieci anni si è valutata la performance degli ospedali con il cosiddetto door to ballon/or needle time (cioè il tempo di intervento sul paziente da quando varca la soglia del pronto soccorso) dimenticandosi di controllare il ritardo preospedaliero che non è solo un fatto di trasporto, ma più gravemente è un problema di conoscenza dei sintomi e della presentazione clinica dell’infarto nelle donne, mancata conoscenza che coinvolge tutti, inclusi i medici”. Le donne, infatti, non presentano i classici sintomi dell’infarto, come il dolore toracico, ma possono presentare segni più generici come respiro corto, nausea, vomito, dolore alla schiena, al collo o alla mascella. I sintomi possono svilupparsi lentamente, nel giro di ore o giorni e addirittura comparire e scomparire. Essendo così generali possono confondere il medico, creando ritardi nel definire la diagnosi e indirizzandole in centri cardiologici non attrezzati.
I risultati ricavati col registro europeo ISACS, come è emerso in occasione dell’incontro di San Diego, riflettono anche i trend osservati negli Stati Uniti. Un recente studio americano dimostra che le donne hanno una probabilità sette volte superiore rispetto agli uomini di ricevere una diagnosi errata e di essere dimesse dal pronto soccorso nel corso di un attacco cardiaco.
“Sono pertanto necessari interventi di informazione e comunicazione della salute - conclude Bugiardini - al fine di identificare e rimuovere i fattori responsabili dei ritardi pre-ospedalieri, sviluppando iniziative che migliorino l’assistenza cardiologica tempestiva delle donne che presentano un infarto miocardico”.
Il gruppo di studiosi coordinato da Raffaele Bugiardini ha utilizzato i dati statistici ricavati dal registro internazionale ISACS-TC (International Survey of Acute Coronary Syndromes in Transitional Countries), creato per monitorare i dati di pazienti colpiti da sindromi acute coronariche e ricavare terapie ottimizzate di cura per questi pazienti, con particolare riferimento ai paesi in transizione dell’Europa dell’Est.
Il programma ISACS-TC coinvolge 112 centri di reclutamento in diciotto paesi in transizione (Bosnia Erzegovina, Croazia, Romania, Serbia, Montenegro, Macedonia e altri) e un totale di 30 centri in due paesi industrializzati (Italia, Regno Unito) che servono come parametri di controllo.