I coralli del Mediterraneo (e non solo) potrebbero soffrire gravemente a causa dei cambiamenti climatici in atto nel pianeta. Lo rivela uno studio condotto da un team internazionale guidato dai ricercatori dell’Università di Bologna, da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications.
Gli scheletri calcarei dei coralli creano le barriere coralline: imponenti scogliere, attorno alle quali si sviluppa uno degli ecosistemi più complessi al mondo. I cambiamenti climatici come il riscaldamento globale e l’acidificazione degli oceani mettono però a rischio la sopravvivenza di queste barriere, con potenziali effetti negativi sugli ecosistemi marini e di conseguenza anche sulla nostra società. Lo scopo della ricerca guidata dal team Unibo era quindi valutare quali modificazioni strutturali, chimiche e fisiche avvengono nello scheletro dei coralli in risposta all’acidificazione del mare prevista per il prossimo futuro.
Per farlo i ricercatori sono andati al largo dell’isola di Panarea, dove un cratere vulcanico sottomarino emette continuamente anidride carbonica, acidificando l’acqua circostante e creando un gradiente di acidificazione che rispecchia i valori previsti per gli oceani del pianeta tra 85 anni, nel 2100. Lo studio è stato condotto lungo questo gradiente naturale di acidificazione: un vero e proprio laboratorio naturale che permette di fare un viaggio nel tempo e studiare oggi i mari del futuro.
Preso come specie modello della ricerca il corallo Mediterraneo Balanophyllia europaea, lo studio ha evidenziato come, all’aumentare dell’acidificazione, il polipo incontri maggiori difficoltà a produrre lo scheletro, che risulta più poroso e fragile. Lo studio ha anche documentato su quale livello strutturale (dai singoli cristalli di carbonato di calcio all’intero scheletro) agisca (o abbia effetto) l’acidità. Infatti, mentre il tipo e le caratteristiche dei cristalli di carbonato di calcio e i pori scheletrici più piccoli (ad una scala inferiore a circa 10 micron) rimangono inalterati dall’acidificazione, i pori di maggiori dimensioni aumentano sensibilmente, riducendo la densità e la resistenza meccanica scheletrica.
Per comprendere meglio i risultati, si può paragonare lo scheletro corallino ad una casa costituita di stanze delimitate da muri di mattoni. L’acidificazione non varia le dimensioni della casa né il tipo di mattoni, mentre il numero e la dimensione delle stanze aumenta a discapito dei muri, rendendo più debole l’intera struttura.
Nonostante l’aumento di porosità, la velocità di crescita rimane costante, facendo ipotizzare che il corallo riesca ad “abituarsi” (acclimatarsi, in termini biologici) alle condizioni acidificate e, anche se con meno “mattoni” disponibili (il carbonato di calcio), riesca a raggiungere le dimensioni necessarie per la sopravvivenza, ad esempio per riprodursi. A questo “guadagno” corrisponderebbe però una “perdita”, poiché il corallo potrebbe essere più soggetto alla mortalità causata dai danni meccanici allo scheletro, divenuto più fragile.
Lo studio che ha portato ai risultati pubblicati su Nature Communications fa parte del progetto europeo CoralWarm, finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca, il più importante e prestigioso organo europeo di finanziamento alla ricerca di frontiera.